Beauty è il simbolo dei giovani italiani vittime del precariato

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Beauty non è un immigrata nigeriana che ha atteso quasi 5 anni prima di uscire dallo Sprar dove è stata confinata sin dal suo arrivo in Italia. Beauty è il simbolo di tutti i lavoratori italiani che oggi non hanno più tutele. Beauty ha 25 anni ed una figlia di quasi 5 da crescere. Ha lavorato in uno stabilimento balneare di Soverato in provincia di Catanzaro, poi ha deciso di licenziarsi. Il suo contratto prevede 3 ore al giorno di lavoro, ma le ore effettive arriverebbero, secondo la sua denuncia, anche a 12.

Così decide di cambiare lavoro e tornare dal suo ex datore per chiedere il dovuto. La risposta è stata una violenta aggressione che ha costretto la giovane donna a far ricorso alle cure mediche del pronto soccorso. La storia di Beauty è la stessa che ogni giorno vivono tanti giovani come lei. Soprattutto durante la stagione estiva. Sono i cosiddetti stagionali che a causa di cattive leggi che regolamentano i contratti di lavoro, quasi sempre si trovano in regime di sfruttamento. Le cause naturalmente sono di natura politica, ma anche l’informazione non è esente da colpe.

Le responsabilità politiche le troviamo nelle leggi approvate dal parlamento in materia di contratti negli ultimi 30 anni. Provvedimenti che hanno prodotto una selvaggia precarizzazione, licenziati con la retorica comunicazione dei tanti nuovi posti di lavoro ed una maggiore mobilità. Cioè sarebbe stato più semplice anche cambiare lavoro. Leggi approvate anche per le divisioni all’interno dei sindacati. Ricordiamo i continui distinguo e le rotture dell’unità nella triplice, a volte minacciate, a volte attuate da parte della Cisl. Ma le responsabilità politiche sono di gran lunga superiori.

Governi che hanno legiferato sotto la spinta delle richieste della Confindustria, che hanno cancellato la concertazione e  smantellato gli uffici territoriali dell’ispettorato del lavoro, con controlli  sempre più ridotti al lumicino. Il tutto oltre ad aver prodotto un mondo precario e sottopagato, ha contribuito all’aumento esponenziale delle morti nei posti di lavoro. Abbiamo visto morire negli ultimi anni tanti giovani della stessa età della ragazza nigeriana.

Il caso di Beauty David è solo la punta dell’Iceberg. Potrebbe esserci dietro anche una matrice razziale ed il fatto di essere una donna. Sarà la magistratura a definire gli ambiti. Ma Beauty, immigrata nigeriana, rappresenta tutti i giovani italiani che oggi vivono la sua stessa condizione precaria e non riescono a denunciare il proprio sfruttamento per paura di perdere quel poco di guadagno. E’ la condizione di tanti stagionali che lavorano nel settore del turismo in particolare negli stabilimenti balneari. I balneari, quelli cui la destra strizza l’occhio. Abbiamo visto come il governo non sia riuscito ad approvare una legge per il ripristino della legalità lungo le coste italiane, di proprietà dello Stato, dove in molti punti vi si accede solo a pagamento. Le cronache politiche hanno riportato che non è stata possibile alcuna riforma, richiesta tra l’altro da una direttiva europea, per l’ostruzionismo delle destre.

Ma il caso Beauty riguarda anche l’informazione. Quella parte che ha esaltato la cancellazione dell’art.18; che attacca quasi sempre il reddito di cittadinanza e tutti quei provvedimenti di tutela per le fasce più deboli. Nelle loro testate non ritroviamo mai un’inchiesta per raccontare il mondo dei precari, di coloro che non vedono più alcuna prospettiva di ascesa nella scala sociale e sono sempre più ai margini. Nessuno racconta delle tante Beauty, ragazzi e ragazze italiane, che non cercano più lavoro perché sicuri di entrare in un mondo di sfruttamento. Le rare eccezioni di testate o programmi che accendono i propri riflettori su questi mondi vengono attaccati da quella politica che difende interessi lobbistici. Sono in tanti a portare sulle spalle la responsabilità delle Beauty italiane.


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