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Beauty, Alika, l’Europa di Orbán e l’Italia senza sinistra

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Tiene banco la campagna elettorale, dunque se ne parla e se ne parlerà poco; fatto sta che, se esistesse ancora una sinistra in questo Paese (e il nostro auspicio è che qualche residuo sia rimasto), il campo di battaglia dovrebbe essere la Calabria. Il Sud in generale, ma la Calabria in particolare. È lì, infatti, precisamente a Soverato, che abbiamo assistito alla vergogna di un datore di lavoro nei confronti di Beauty, una ragazza nigeriana di venticinque anni, sfruttata e sottopagata, assunta come lavapiatti e picchiata nel momento in cui ha rivendicato i propri soldi e i propri sacrosanti diritti. Di fronte a una barbarie del genere, sindacati e partiti si sarebbero dovuti mobilitare in massa, in tutto il Sud dovrebbero essere candidati in posizioni sicure marginali, sfruttati e poveri cristi e la questione dell’accoglienza, dell’inclusione e dell’integrazione dovrebbe diventare il tema centrale di quest’assurda propaganda d’agosto. Ovviamente, non accadrà. Mentre Salvini si reca a Lampedusa per uno dei suoi consueti show, difatti, i nostri eroi della sinistra che fu sono troppo impegnati a discutere dell’Agenda Draghi, che esiste in realtà giusto intorno al tavolino dell’apericena di alcuni dirigenti politici e giornalisti, quasi sempre maschi alfa, bianchi, italiani da dieci generazioni e con un reddito che non li pone di fronte ai problemi delle persone comuni. È un vero peccato, specie se si considera che, oltre a Salvini, l’altra avversaria si chiama Giorgia Meloni, alla cui festa di partito è stato ospitato con tutti gli onori Viktor Orbán, il premier ungherese che si è recentemente schierato contro la mescolanza razziale, utilizzando toni ed espressioni che ricordano da vicino il 1938.
Non vorremmo risultare sgradevoli, ma ancor più dei rigurgiti fasciati, di cui Orbán è uno dei massimi protagonisti, ci dà fastidio l’anti-fascismo celebrativo, strumentale ed effimero, l’anti-fascismo di maniera, la manifestazione di chi scende in piazza quando proprio non se ne può fare a meno ma poi guarda dall’alto in basso chiunque osi far notare che non si tratta di un orpello ma di un valore costituzionale imprescindibile. Sono oltre vent’anni che ripetiamo a questa pseudo-sinistra che non si tratta di demonizzare la destra ma di richiamarla al dovere di rispettare la Carta su cui giura quando forma un governo. E in quella Carta c’è, ad esempio, l’articolo 1, secondo cui la Repubblica democratica è fondata sul lavoro, l’articolo 3, secondo cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, l’articolo 4, secondo cui la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto, l’articolo 5, secondo cui l’Italia è una e indivisibile, e l’articolo 11, secondo cui l’Italia ripudia la guerra. A quanto pare, nemmeno i dodici principî fondamentali possono più essere richiamati senza subire l’irrisione di quanti la sanno sempre lunga, in nome ora del realismo, ora delle alleanze necessarie, ora dell’atlantismo e ora di chissà quale altro cedimento, tutti seguiti prontamente da sconfitte devastanti e deleterie, soprattutto per quei ceti sociali che di una sinistra vera ne avrebbero bisogno come l’aria.
Tutto questo avviene nel Paese in cui, qualche giorno fa, un altro nigeriano, Alika Ogorchukwu, è stato assassinato da un operaio italiano di trentadue anni per motivi che definire futili è un eufemismo. È avvenuto nelle stesse Marche in cui nel 2016 un altro nigeriano, Emmanuel Chidi Namdi, era stato ucciso da Amedeo Mancini, ultrà della Fermana, sotto lo sguardo attonito della moglie, cui il nostro, a quanto pare, aveva appena rivolto insulti razzisti. Parliamo delle stesse Marche in cui il 3 febbraio 2018 Luca Traini si era scoperto vendicatore solitario e giustiziere della notte, sparando all’impazzata contro qualunque persona si colore gli capitasse a tiro per rendere omaggio, a modo suo, alla povera Pamela Mastropietro, stuprata, assassinata e tagliata a pezzi da uno spacciatore nigeriano. Naturalmente non c’entra nulla e non intendiamo insinuare alcunché, ma il dovere di cronaca ci impone di ricordare che è la stessa regione in cui l’allora deputato e oggi presidente, Francesco Acquaroli, esponente di punta di Fratelli d’Italia, il 28 ottobre 2019 ha partecipato a una cena per commemorare la Marcia su Roma. Ribadiamo: non c’entra nulla e non è nostra intenzione mettere in relazione fatti distinti e separati fra loro; una riflessione sull’opportunità politica di determinate scelte, tuttavia, sarebbe quanto meno auspicabile.
Letta ha annunciato, meritoriamente, che sabato parteciperà ai funerali di Alika. Peccato che non un diritto civile sia stato conquistato negli ultimi anni, a dimostrazione che su Ius soli e Ius scholae le resistenze non appartengono solo alla destra ma anche al cinismo di quelli che si fanno chiamare progressisti ma in nome della realpolitik sono pronti a lasciar perdere qualunque battaglia possa mettere a repentaglio mezzo punto percentuale nei sondaggi. Tanto Beauty, Alika, Emmanuel, i poveri cristi rinchiusi nei lager libici o nelle mirabili strutture italiane, dove ogni tanto qualcuno muore in circostanze misteriose, tutte queste persone, al pari dei braccianti delle campagne pugliesi, non votano. Basta una lacrima di coccodrillo ogni tanto, una dichiarazione al telegiornale, una bella intervista e la coscienza è a posto. Affermava Martin Luther King: “Alla fine, ricorderemo non le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici”.
(Nella foto Viktor Orbán)


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