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#PaoloBorsellino. La verità giudiziaria ancora si fa attendere

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Qualche riflessione sulle stragi politico-mafiose delle quali ricorrono gli anniversari: quarant’anni dalla seconda guerra di mafia, trent’anni da quelle di Capaci e via D’Amelio e, risalendo nel tempo, settantacinque anni da Portella delle Ginestre. Un filo rosso di sangue lega tutti gli assassini mafiosi di vittime innocenti dietro i quali s’intravede, prendendo atto delle parziali verità giudiziarie, una condivisa verità storica tramite la quale si intuisce che la mafia è stata usata da una parte della classe dirigente (politica, istituzionale, economica) anche per bloccare la costruzione democratica della Repubblica e ogni cambiamento sociale progressista. Le stragi di Capaci e di via D’Amelio sono l’epilogo della seconda guerra di mafia che la mafia promosse per imporre il suo potere sulla politica.

La reazione dello Stato, della società civile, delle forze sociali e politiche democratiche segnarono la sconfitta storica della mafia stragista e di coloro che non l’avevano ostacolato. Dopo l’assassinio di Pio La Torre (30/4/1982) e Carlo Alberto Dalla Chiesa (3/9/1982) fu approvata la legge Rognoni-La Torre (13/9/1982)con la quale l’associazione di stampo mafioso diventa reato grave e prevede l’obbligo della confisca dei beni illegali dei mafiosi. Il disegno di legge era stato anni prima presentato da Pio La Torre e giaceva nei cassetti della Camera. La legge fu sapientemente utilizzata da un piccolo pool di magistrati guidato dal giudice istruttore Rocco Chinnici, del quale facevano parte Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, per istruire il primo maxiprocesso antimafia le cui sentenze di condanna furono confermate all’inizio del 1992 in Cassazione scatenando la rabbiosa vendetta della mafia che, sostenuta da servizi segreti deviati, da depistaggi, Agende rosse scomparse e compiacenze politiche, provocò le stragi di Capaci (23/571992) e via D’Amelio (19/7/1992) nelle quali perirono Falcone, sua moglie, Borsellino e le loro scorte. Dai relativi processi sono emersi grazie ai collaboratori di giustizia, i cosiddetti pentiti, le connessioni politiche, istituzionali, le responsabilità interne alle stesse forze dell’ordine e della magistratura .

Ma la verità giudiziaria ancora si fa attendere non riuscendo a svelare e provare tutte le collusioni tra interessi mafiosi e la schiera degli interessi politici ed economici . Senza La Torre, scrisse lo storico Francesco Renda, non ci sarebbe stata la legge che porta il suo nome e il sacrificio della sua vita, ma senza quel manipolo di magistrati, anch’essi pagarono con la propria vita, quella legge non sarebbe stata applicata né sarebbe diventata la madre della legislazione antimafia italiana ispirando quella a livello internazionale dell’Onu, dell’Ue e di tanti paesi. Per tale correlazione sono stati respinti tutti i tentativi di svuotamento della Rognoni- La Torre rivelatasi fruttuosa per contrastare anche le nuove mafie più corruttive, meno rumorose, senza più cupole organizzative, ma capaci di riciclare a livello locale e globale i proventi dei loro traffici illeciti nell’economia legale e di sfruttare tutte le crisi socioeconomiche e politiche comprese le guerre in atto, i cambiamenti climatici, gli effetti sulle famiglie e le imprese della pandemia di Covid.

Com’è possibile tutto ciò con mafie indebolite dall’efficace azione di repressione dei corpi dello Stato? Le mafie sono mafie finché si possono avvalere della complicità o indifferenza di parte del sistema di potere politico e istituzionale il quale, nella sua generalità, nell’attuale fase di crisi e di transizione mostra di non possedere la necessaria lucidità di analisi sui pericoli, segnalati da varie parti sociali e istituzionali, di infiltrazione mafiosa nella spesa pubblica locale e nazionale, nel sistema dei rifiuti, nella gestione del reddito di cittadinanza, del welfare, del lavoro nero, della vita amministrativa degli enti locali. Perciò ripetiamo sempre che per sconfiggere le nuove mafie, come siamo riusciti con le vecchie, occorrono repressione e prevenzione politica, culturale e sociale come ha cercato di fare il Centro Studi Pio La Torre, combattendo l’antimafia autoreferenziale (di cartone) nei trentasei anni di attività a livello locale e globale. Attività riconosciuta dall’Onu con lo status consultivo, dal Miur attraverso Progetti educativi annuali con oltre seicento scuole secondarie di secondo grado comprese quelle delle Case circondariali e protocolli di collaborazione con varie università. L’unico modo per non disperdere il sacrificio dei vari Paolo Borsellino è stimolare la partecipazione attiva dei giovani e di tutti gli adult* per il miglioramento della vita democratica del paese, delle sue istituzioni costituzionali onde cancellare dal loro futuro ogni mafia e ingiustizia sociale.

Vlm presidente emerito del Centro Studi Pio La Torre


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