La relazione annuale del 2022 tenuta ieri presso l’aula dei gruppi parlamentari dal presidente dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni Giacomo Lasorella è coincisa con il venticinquesimo compleanno dell’istituzione.
Dopo un quarto di secolo, che nel contesto equivale a dieci volte tanto, è lecito chiedersi cosa resta delle previsioni coraggiose di una legge – la n. 249 del 1997- che scrisse i contorni della prima organizzazione europea multimediale (unico altro caso era quello finlandese), secondo un linguaggio allora d’avanguardia.
L’esposizione equilibrata e sintetica (23 pagine lette, ma 170 consegnate nell’apposito volume analitico) ha percorso sì i diversi capitoli: comunicazioni elettroniche, media, servizi postali, Internet e piattaforme online; ma ha lasciato – però – il retrogusto di una rimozione. Salvo che nel finale del testo, dove ci si riferisce alla necessità di diventare Digital Services Coordinator, il soggetto individuato tra le autorità nazionali competenti per interloquire con l’Europa in merito al nuovo ciclo normativo avviatosi a Bruxelles. Le misure finalmente inerenti al mondo digitale come il Data Act, il Digital Services Act, il Digital Markets Act, nonché l’approccio al tema dell’intelligenza artificiale (I Act) scuotono le vecchie routine e contribuiscono a segnalare gli affanni dell’Autorità.
Infatti, malgrado la legge del ’97 avesse intravisto l’evoluzione accelerata del sistema, che avrebbe richiesto velocità e applicazione creativa del diritto nato e cresciuto nei vincoli e negli stili dell’età analogica, il continuismo è prevalso. Malgrado gli amplissimi poteri previsti di regolazione, di alta amministrazione e di magistratura. Di quei poteri solo alcuni sono stati utilizzati (si pensi alla pur accennato aggiornamento della disciplina della par condicio, cui si poteva già contribuire proprio in base alla prevista facoltà di segnalazione al parlamento), con una scelta troppo minimalista che ha tenuto spesso parcheggiata in garage la Ferrari disegnata dall’articolato di venticinque anni fa.
La relazione, dunque, va giudicata per ciò che dice e pure – però- nei suoi omissis. Duole sottolineare che la questione del diritto d’autore, ovviamente evocata a mo’ di fiore all’occhiello tra le decisioni assunte, sta a dimostrare che l’Agcom – se vuole- interviene pure senza una norma primaria di riferimento. Insomma, l’asticella poteva essere alzata.
Per fortuna, l’Autorità ha tempi asimmetrici rispetto alla legislatura e, quindi, qualche speranza che l’auspicio finale di Lasorella si attui rimane. Naturalmente, è del tutto insufficiente al riguardo il nuovo Testo unico scaturito dal recepimento della direttiva europea 1808/2018.
Il rapporto annuale ha tratteggiato gli effetti della pandemia sui vari segmenti del settore. Le risorse sono diminuite nelle comunicazioni elettroniche del 2,8% (-4,8% nel solo 2020), in particolare nella parte mobile, mentre nella rete fissa la riduzione è stata contenuta (-1,3%) grazie alla crescita del traffico dei dati. Rimane forte la differenza tra le aree del nord-ovest o del centro, e quelle del sud e delle isole. La banda larga e ultralarga soffre tuttora di consistenti arretratezze, benché la posizione in Europa sia migliorata.
La stampa continua nella discesa precipitosa e, al momento, costante. La televisione generalista soffre la concorrenza delle piattaforme online. Con queste ultime si è instaurato un coinvolgimento co-regolatorio, con un affidamento alla loro disponibilità adatto al Libro Cuore piuttosto che al crudo capitalismo della sorveglianza e degli algoritmi. Ora, come lo stesso Lasorella ha accennato, si corre il serio rischio di un utilizzo a fini politici dei dati personali e di uno spregiudicato ricorso ai social. L’Agcom ha emanato interessanti materiali su minori, fake o discorsi d’odio. Tuttavia, in questa campagna elettorale, se non si vigila con estremo rigore, il pericolo per la democrazia incombe.
Interessante, poi, è l’azione sul comparto postale, impero in aumento di fatturato dove forse la concorrenza di Amazon è stata frenata.
Ma le Big Tech, gli oligarchi della rete volteggiano nel Cloud.