L’azzardo è ormai la cifra di molte iniziative politiche nella vecchia Europa, tanto quanto nel nuovo mondo americano senza più distinzioni tra i due emisferi (Boris Johnson non vi si dedica significativamente meno di Donald Trump e Jair Bolsonaro). E’ un altro segno evidente della pericolosa usura del sistema democratico occidentale e di un buon pezzo della sua classe dirigente (nè c’è da rallegrarsi per come va in Oriente). Tuttavia stupisce (e più che mai preoccupa) la singolarità della spregiudicatezza con cui il capo di stato brasiliano si tuffa dalla terrazza del Planalto nella più torbida contraddizione istituzionale. Avendo cura di riunire prima a Brasilia un gran parterre di diplomatici accreditati, il meglio degli osservatori internazionali disponibile a quella latitudine, affinchè assista alla sua bravata.
A tre mesi dalle prossime elezioni presidenziali, Jair Bolsonaro denuncia l’inaffidabilità del sistema elettorale vigente da oltre una ventina d’anni senza mai nessuna obiezione e con cui è stato eletto lui stesso a fine 2018. Di fronte allo stupore dei diplomatici e dei giornalisti invitati, ha insistito nell’affermare che il meccanismo elettronico potrebbe essere inceppato da qualche problema nell’alimentazione elettrica. E con una ingenuità che non ha ingannato nessuno (come testimoniano gli audio registrati nella circostanza e diffusi su web e giornali), si è domandato se non sarebbe opportuno garantire i risultati attraverso uno scrutinio definitivo affidato ai militari. Il Supremo Tribunale Elettorale (STE) ha immediatamente smentito, punto per punto, la vulnerabilità del meccanismo, scatenando la polemica.
Le insinuazioni di Bolsonaro non sono del tutto inedite. Lui, i figli e tutto il loro circolo cominciarono a diffonderle alla vigilia delle precedenti elezioni. Ma la vittoria gliele fece subito dimenticare. Pur favoriti, non avevano rinunciato a “mettere le mani avanti”, a precostituirsi un alibi nell’eventualità allora remota di una sconfitta. Adesso che i sondaggi rilevano unanimi da settimane e mesi 18/20 punti di vantaggio in favore dell’ex presidente Lula Da Silva nella corsa elettorale, la decisione di ripescarle e renderle ufficiali in una circostanza creata ad hoc hanno fatto scattare l’allarme. Forse imprevisto nei calcoli degli stessi alti ufficiali che affiancano il presidente e ne curano la strategia: sono ben 400 gli esponenti delle forze armate attualmente presenti nel governo e nell’alta burocrazia dello stato.
In Brasile, il “partito militare” è un fattore determinante del sistema di potere e dopo 22 anni di dittatura nella seconda metà del secolo scorso restano ben note le sue insofferenze per le regole della democrazia parlamentare. La più autorevole informazione locale e internazionale torna ad avvertirne i pericoli. La Folha di San Paolo e O Globo di Rio de Janeiro parlano di golpe strumentale, altrettanto fanno l’inglese Guardian e il New York Times dagli Stati Uniti. Lo spagnolo El Pais riferisce che mezzo Brasile accusa Bolsonaro di seguire l’esempio di Donald Trump, seminando dubbi senza fornire la minima prova. Intanto la guardia del corpo obbliga Lula a presentarsi ai comizi con indosso un giubbetto anti-proiettile e l’ultradestra spagnola di VOX co-finanzia un documentario che lo accusa d’ogni nefandezza. In pieno deflagrare delle disuguaglianze e della violenza, il più grande e possente paese del Sudamerica entra così nelle settimane decisive della campagna elettorale.