Già il fatto che si parli ossessivamente di “valori occidentali” rende l’idea del declino di questo angolo di mondo. Sembra che si stiano materializzano, come mai prima, i fantasmi evocati dal politologo conservatore Samuel Huntington nel celebre saggio “”Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, un’opera complessa e articolata in cui, neanche a farlo apposta, uno dei capitoli più interessanti riguarda proprio la questione della Crimea e la sua controversa storia.
Venendo al merito delle questioni più recenti, tutto si tiene. Si tengono i vertici del G7 e della NATO, simulacri del potere che fu, si tengono le sentenze della Corte suprema americana, una delle più retrograde della storia, e si tiene l’ingresso nell’Alleanza atlantica di Svezia e Finlandia. I due paesi scandinavi devono proprio alla loro neutralità, al proprio sviluppo sociale ed economico e al perseguimento decennale del benessere e della valorizzazione della cittadinanza senza distinzione alcuna la propria ricchezza e il proprio progresso.
Da queste parti non accettiamo lezioni su Putin o su Xu Jinping. Possono inserirci in qualsivoglia elenco di “putiniani”, facciano pure, ma si coprono di ridicolo. Noi abbiamo condannato Putin fin da quando è salito al potere, fin dai giorni del G8 di Genova, senza contare il nostro incessante impegno per denunciare i crimini compiuti ai danni delle voci libere che cercavano in ogni modo di denunciare ciò che avveniva in Cecenia e all’interno della stessa Russia. Quanto al nuovo Mao, ci siamo schierati senza infingimenti al fianco fi Taiwan, con articoli, riflessioni e analisi che risalgono a ben prima dell’affacciarsi della nuova guerra fredda che purtroppo si sta profilando. Lezioni, dunque, non ne prendiamo, meno che mai da improvvisati commentatori che scoprono oggi chi fosse Anna Politkovskaja e pretendono di salire in cattedra senza avere alcun merito né requisito per farlo. Ciò premesso, siamo sempre stati contro ogni guerra, non abbiamo mai creduto all’esistenza delle “missioni di pace”, non abbiamo mai ravvisato alcunché di umanitario nei conflitti in Afghanistan e in Iraq e non abbiamo mai accettato alcun sopruso e alcuna barbarie. Anche sull’Ucraina, pertanto, respingiamo i moniti al mittente. Quanto alla “colpa” di essere pacifisti, la rivendichiamo con orgoglio e ci teniamo a far sapere a tutti i guerrafondai da salotto che ci riconosciamo nell’articolo 11 della Costituzione e non intendiamo cambiare idea. Ci spiace, quindi, ma non riteniamo l’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO una mossa saggia né un’iniziativa improntata alla conservazione della pace e degli equilibri di deterrenza di cui pure si è tornato a parlare da quando Putin ha invaso l’Ucraina e, a dire il vero, da quando è iniziata la guerra nel Donbass, anno di disgrazia 2014.
L’aspetto più inquietante, tuttavia, è uh altro. Per far entrare Svezia e Finlandia nella NATO è indispensabile l’assenso di Erdoğan, il “dittatore”, parole di Draghi, cui dal 2016 elargiamo ogni anno somme ingenti per bloccare l’afflusso di disperati dalla Siria e dal Medio Oriente in fiamme. Lo stesso personaggio che, dal 2016, anno del fallito colpo di Stato ai suoi danni, rende la vita impossibile a ogni oppositore. Lo stesso soggetto che ora chiede in cambio la pelle dei curdi rifugiatisi nella civile Scandinavia e mani libere nei confronti di un popolo che intende sostanzialmente schiacciare. Dei curdi non se ne occupa nessuno; anzi, se uno si azzarda a pubblicare una foto di Öcalan, nell’ambito della presentazione di un libro in cui si parla anche d’altro, viene persino sanzionato da Facebook, culla dei valori occidentali di nuovo conio ed emblema delle big tech schierate al fianco dei sedicenti democratici. Dal canto nostro, abbiamo sempre condannato ogni violenza, compresa quella del PKK. Riteniamo la lotta armata un abominio e non ci piace alcuna forma di crudeltà: anche per questo saremmo più cauti nel paragonare la resistenza ucraina a quella italiana, pur riconoscendo al popolo ucraino il diritto di difendersi e di conservare la propria sovranità territoriale. Ci domandiamo, tuttavia, cosa abbiano di meno i curdi. E, soprattutto, vorremmo sapere come possa pensare l’Occidente di rivendicare ancora una minima forma di diversità e superiorità nel momento in cui abbandona sostanzialmente a se stesso il popolo che, a costo della propria stessa vita, ha contrastato il terrorismo jihadista dell’ISIS che tanta barbarie ha seminato nelle nostre città. Un popolo, peraltro, che è sempre stato lasciato solo, ritenuto evidentemente indegno di avere una terra e un minimo di rispetto.
Per quanto mi riguarda, non posso che schierarmi dalla parte di don Lorenzo Milani, il quale divideva il mondo in oppressi e oppressori, al di là del loro colore politico e della loro appartenenza etnica o nazionale. Io mi sono sempre schierato dalla parte degli oppressi: vale per i curdi, per gli ucraini, per i palestinesi e per tutte le minoranze perseguitate in ogni angolo del pianeta, di chiunque sia il piede che ne schiaccia diritti e dignità. E rifiuto categoricamente l’esistenza di valori che non esistono, riconoscendomi nei valori universali di ciascun essere umano, che accomunano le persone a ogni latitudine, senza bisogno di marcare divisioni pericolose e tendenti al nazionalismo, progenitore di ogni fascismo. Infine, due parole sulle responsabilità dell’Occidente. No, non andrei a vivere né in Cina né in Russia. Condanno senza appello ogni forma di autoritarismo e sono ben contento del fatto di poter scrivere liberamente quest’articolo, senza dover temere conseguenze atroci per la mia vita e per quella dei miei cari. Tuttavia, non posso fornire un consenso acritico né tacere di fronte all’evidenza di un regresso morale, culturale e normativo che è sotto gli occhi di chiunque, di cui la tragedia di Julian Assange, reo di aver detto la verità, documentandola, su alcuni dei nostri misfatti, costituisce il caso più eclatante.
L’Occidente che chiude le frontiere, stringe accordi di sangue con tiranni indecenti, calpesta i diritti umani o semplicemente li accantona in nome del profitto e torna indietro di decenni su conquiste essenziali come l’aborto, quest’Occidente è malato e non è voltandosi dall’altra parte che lo si può aiutare a guarire. Per contrastare adeguatamente Putin, Erdoğan, Xi Jinping e tutti gli altri personaggi che riteniamo dannosi per la nostra comunità è indispensabile, dunque, essere in tutto e per tutto diversi da loro. Purtroppo non lo siamo. Anche per questo Putin esercita, non certo su di me o su di noi ma in generale sì, il fascino del despota autentico. Anche per questo può permettersi di mettere in burletta i nostri principî. E anche per questo dev’essere sconfitto senza appello: non con le armi ma cambiando noi stessi e offrendo al resto del mondo l’immagine di una democrazia autentica, accogliente, costruttiva, solidale e in grado di riprendere la strada della crescita e del progresso, senza che nessuno sia lasciato indietro. Con meno di questo, lo abbiamo già scritto in altre occasioni, Putin può forse perdere in Ucraina ma rischia di vincere la sfida più importante: quella al nostro modello di convivenza. E in questo caso sono il primo ad affermare che non possiamo permetterci una sua affermazione, perché sarebbe la nostra fine.
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