Mentre la politica italiana è, letteralmente, infognata, sorge la necessità di “trattare” un prodotto delle fogne: i liquami. Mentre siamo (anche) in emergenza idrica, in Italia si continua a gettare a mare una quantità di acque reflue enorme: oltre 15.000.000 di mc/die (quindici milioni di metri cubi al giorno), come dire un lago medio (Orta) al giorno. Il colmo della follia è che il massimo di questo spreco avviene al sud (Catania caso esemplare), dove gli enti locali non hanno i fondi per realizzare i depuratori e/o le capacità professionali per gestire i pochissimi impianti esistenti. Inoltre i depuratori mal funzionanti sono la classica “pezza peggio del buco”, in quanto concentrano gli inquinanti che spesso finiscono direttamente in mare o nei fiumi.
Sarebbe più utile, certamente meno dannoso, disperdere i liquami nelle aree ormai deserte ed incolte, che potrebbero, tramite rotazioni programmate, tornare in uso all’agricoltura. Tale criterio era usato dalla città di Milano sino agli anni ’70, con le “marcite”che garantivano ottimi foraggi all’allevamento. Anche per questo motivo Milano è stata l’ultima grande città d’Europa a dotarsi di impianti di depurazione (anni 2000!).
Le acque reflue potrebbero essere utilizzate per recuperare le aree umide italiane, fornendo una notevole mitigazione delle temperature e contribuendo in modo enorme all’abbattimento del CO2. Realizzando “polmoni verdi” per potenziali 5.500 kmq (superficie pari alla Liguria). Su scala mondiale potrebbero recuperarsi le aree umide degli immensi laghi salati che, sino a pochi millenni or sono, mitigavano ed assorbivano CO2 come l’intera Amazzonia di oggi. Un progetto per “Il recupero del Chatt tunisino”, con acqua dal Mediterraneo, proposto quasi vent’anni fa a quel governo, fu valutato, negativamente, con una risposta che si può dire in romanesco: “Ce piace er deserto!” E’ doveroso, visti gli enormi cambiamenti climatici e l’innalzamento dei mari, riprovarci.