“Al di sopra della legge. Come la mafia comanda dal carcere” è un viaggio senza sconti che, il consigliere togato del Consiglio Superiore della Magistratura, Sebastiano Ardita, fa per i tipi di “Solferino”. Ma è anche un atto di accusa sui limiti della classe politica e sulla condizione delle nostre prigioni che sono, ancora troppo spesso, i luoghi in cui comincia una carriera criminale.
“Ho cercato di raccontare un mondo sconosciuto, quello del carcere, perché al suo interno si celano molti paradossi della nostra democrazia. Un mondo che dovrebbe mantenere in equilibrio civiltà della pena e sicurezza dei cittadini e che invece – avvolto nella retorica e spesso nella incompetenza – finisce per fallire entrambi gli obiettivi e consegnare tutto nelle mani della mafia”. Lo afferma Sebastiano Ardita. Ardita, entrato in magistratura all’età di 25 anni, ha iniziato la carriera come sostituto procuratore presso il Tribunale di Catania, divenendo poi componente della Direzione distrettuale antimafia.
“Ricordare le stragi, il dominio di Cosa nostra dentro e fuori dal carcere, è un modo per tornare alla attualità. Lo Stato – spiega Ardita – dovrebbe essere presente in ogni fase della vita detentiva e invece sembra avere fatto un passo indietro. L’apertura indiscriminata delle celle, anche per coloro che sono mafiosi e pericolosi ha consegnato a questi ultimi il governo delle nostre prigioni, sostituendo al potere dello stato quello delle gerarchie criminali. Adesso tutti stanno peggio – annota l’autore -, gli agenti ma soprattutto la stragrande parte dei detenuti la cui vita viene consegnata nelle mani di altri recusi. E così è iniziata la campagna contro l’ergastolo ostativo, il 41bis; così è’ iniziato il braccio di ferro con lo Stato; sono stati sconfitti gli strumenti di pacificazione della legge Gozzini e si è tornati alle rivolte che ci hanno fatto ripiombare nel caos degli anni 70. Eppure tutto era nato per dare più libertà ai detenuti. Come se le libertà fossero delle caramelle lasciate su un tavolo in attesa che essi si servissero, ma senza spiegare come, quanto e con quale criterio. È così che è partita anche nelle carceri la battaglia di delegittimazione dello Stato che serve ai potenti del mondo criminale; così – come se si trattasse di una questione di civiltà – si cerca di far tornare liberi i mafiosi stragisti; così ci si presta a realizzare il papello di Riina, il programma dei Corleonesi”.
Poi l’inevitabile riferimento a ciò che accadde con le rivolte incendiarie del marzo 2020, con decine di morti ed evasi e con le scarcerazioni di boss in circuiti di alta sicurezza. “Dopo le rivolte post Covid – spiega Ardita – non c’è stato nessun intervento tempestivo per ripristinare l’ordine negli istituti. Il personale abbandonato ha operato interventi tardivi ed illegali nei confronti di detenuti, come quelli di Santa Maria Capua Vetere, per i quali giustamente saranno puniti i responsabili. Ma le rivolte sono rimaste impunite nella massima parte, non accertate e senza conseguenze sui benefici. Lo Stato – denuncia duramente il consigliere Ardita – si è piegato al vertice e ha processato la sua stessa base abbandonata.
Forse però non tutti comprendono che giocare a far venire meno il monopolio della forza dello Stato, rischia di portare a sospensioni dei diritti e della democrazia. L’incapacità di garantire la sicurezza bilanciandola con trattamenti civili, ed il ribaltamento dell’equilibrio costituzionale, può portare ad autoritarismi come ieri portava alla tirannide. Far travolgere i diritti degli innocenti, per non avere saputo dosare i benefici ai criminali, spinge i cittadini a fidarsi di chi vuole sicurezza senza diritti. Quando questo dovesse accadere – conclude Ardita -, poi non dite che non l’avevamo detto”.