A volte, per ricordare una personalità straordinaria come quella di Angelo Guglielmi, è necessario essere brutali. E, brutalmente parlando, va detto che oggi a nessuno verrebbe in mente di nominare un intellettuale del suo calibro alla guida di un’importante rete televisiva. Troppo colto, troppo autonomo, troppo irriverente, impossibile da controllare o sottomettere a logiche che non fossero quelle della qualità e degli ascolti, capace di dar voce a personaggi il più delle volte scomodi e sicuramente, a loro volta, poco inclini ad accettare diktat: basta questo per comprendere le ragioni della sua unicità. A Guglielmi dobbiamo l’affermazione di Raitre: una fucina di fuoriclasse senza precedenti, con un misto di satira, grande informazione, talk innovativi e massima attenzione a tutto ciò che si muoveva nelle strade e nelle piazze, negli anni in cui la Prima Repubblica andava in frantumi e salivano alla ribalta soggetti politici che oggi non esiteremmo a definire, stupidamente, “populisti”.
Guglielmi, classe 1929, era stato uno degli animatori del Gruppo ’63, dunque un pensatore finissimo, ma al tempo stesso aveva una passione quasi naturale per tutto ciò che era popolare, descamisado e un po’ folle. Non a caso, fra le trasmissioni simbolo della sua direzione ricordiamo Blob, le intemerate del primo Santoro, con le voci infuriate della gente comune che rompevano la monotonia compassata e le messe cantate del servizio pubblico, il telegiornale di Curzi, assurdo e meraviglioso come il suo direttore, la satira della Dandini e dei fratelli Guzzanti, le battaglie dalla parte dei cittadini-consumatori targate Antonio Lubrano e la classe di Augias; per non parlare poi del giovane Lerner che fa conoscere a un’Italia ancora abituata ai riti del tempo che fu ciò che bolliva in quel pentolone nordico ribattezzato “Padania” da Bossi, dal quale, in pochi anni, sarebbero giunte le novità più importanti e, a mio giudizio, tragiche.
Angelo Guglielmi non aveva paura della realtà. La cercava, la scrutava, la anticipava e vi abitava a contatto, andandosi a trovare anche i soggetti più improbabili pur di raccontarla a trecentosessanta gradi. Non sorprende, a tal proposito, che in una recente intervista rilasciata al Fatto, si sia scagliato contro le liste di proscrizione ai danni dei presunti “putiniani”, come se il punto di vista di chi esprime un pensiero alternativo dovesse essere tenuto nascosto o, peggio ancora, bandito per non compiere il reato di lesa maestà nei confronti del potere di turno. Quello del Guglielmi televisivo è stato, al contrario, un corpo a corpo continuo con il potere, uno scontro garbato ma fermissimo, un’esplosione di talento probabilmente irripetibile, un caleidoscopio di opinioni di cui oggi si avverte profondamente la mancanza. Sapeva come miscelare l’alto e il basso, gli apocalittici e gli integrati, i pazzi e gli uomini tutti d’un pezzo, i geni in maniche di camicia e i moderati in giacca e cravatta; detestava i servi, i cortigiani, i cialtroni, quelli che parlano per conto terzi, i voltagabbana e gli incapaci, e la selezione compiuta dalla sua rete era attenta e scrupolosa, al punto che da lì sono emersi quasi tutti i protagonisti migliori del trentennio successivo. Sapeva raccontare anche lo sport, ne comprendeva l’importanza. Era cosciente del valore quasi letterario di una narrazione popolaresca e scanzonata, e così nacque “Quelli che… il calcio”, con alla guida Fabio Fazio e Marino Bartoletti. Il bar sport ad alti livelli, la saggezza e l’urlo liberatorio, un po’ Jannacci, un po’ Beppe Viola e un po’ Tardelli, e al diavolo le convenzioni e il grigiore di una stagione ormai superata e da archiviare!
Ora che questo visionario non c’è più, ci aggrappiamo alle sue intuizioni e ci rendiamo conto che campiamo di rendita, anche perché, pur non mancando professionisti di primissimo livello, tanto meno in RAI, uno così sulla plancia di comando non potrebbe arrivarci. Non lo consente la mediocrità generale delle classi dirigenti, non lo consente una fase storica improntata alla censura delle opinioni, non lo consente il ventennio barbaro che abbiamo alle spalle, specie per quanto riguarda l’informazione, e non lo consentono equilibri asfissianti che il nostro aveva scardinato alla grande, giocando sempre all’attacco, proprio come i ragazzi dell’82 di cui oggi celebriamo l’apoteosi. Se dovessimo giocare sul filo dei paragoni calcistici, potremmo dire che Guglielmi è stato il Bearzot della RAI: il timoniere sicuro e attento alle esigenze del gruppo, in attesa del trionfo grazie ai suoi Rossi, Tardelli e Altobelli e a un impianto complessivo che funzionava al meglio. No, uno così oggi non ce lo farebbero arrivare, proprio come non farebbero sedere sulla panchina azzurra un altro Bearzot. Senza nulla togliere ad alcuni degli attuali condottieri, non è un’epoca adatta ai rivoluzionari gentili, agli innovatori assoluti, ai geni che cambiano il corso della storia con un guizzo che proviene dal loro intimo rifiuto dell’ordine costituito. Se ne va nel giorno della celebrazione del Mundial. Anche lui, in fondo, ha alzato la sua coppa.
P.S. Un addio sincero anche ad Amedeo Ricucci, scomparso oggi all’età di sessantatré anni. Era un inviato di valore, un cronista che ha scritto alcune fra le pagine più significative della RAI e della televisione in generale. Ci mancherà la sua umanità e la sua indiscutibile competenza.
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