Forse è strano iniziare a scrivere ammettendo di non avere parole. Accade nei momenti di grande dolore e oggi è così. La notizia della scomparsa dell’amico e collega Amedeo Ricucci mi ha gelato il sangue. Fratellone, così lo chiamavo, lottava da tempo contro un brutto male, ma non si dava per vinto e nella nostra ultima telefonata mi aveva dato speranza. Purtroppo non è stato così.
Conoscevo Amedeo tramite i suoi reportage, quelli di un grande inviato Rai, poi ci siamo conosciuti di persona. La Siria ha creato l’occasione del nostro primo incontro. Davanti avevo un uomo dall’aria burbera, lo sguardo profondo, col sigaro sempre in bocca, ma è bastato parlare per scoprire il suo cuore grande, la sua anima nobile e generosa, la sua lealtà. “Un bravo giornalista indossa sempre questi”, diceva ai corsi di formazione mostrando i suoi scarponi, invitando ad andare sui luoghi dove avvengono i fatti, a sporcarsi le scarpe, respirare l’aria e ascoltare i suoni dei posti di cui si scrive.
Se ripenso agli ultimi undici anni, alla guerra in Siria, Amedeo c’è sempre stato. Ha realizzato indimenticabili reportage da Aleppo, da Raqqa, da altre città siriane; ha documentato i bombardamenti di Assad e Putin sui civili siriani, ha seguito i profughi in fuga durante la loro lunga marcia verso l’Europa, ha incontrato vittime e prigionieri, ha dato voce ai familiari della persone scomparse forzatamente, alle donne vittime dell’Isis. È anche grazie al suo contributo che è arrivata in Italia la mostra del fotografo forense Caesar e che la voce dei Siriani è arrivata nelle case delle famiglie italiane. Amedeo ha documentato e scritto molto sulla Siria, anche nei suoi libri, raccontando spesso l’aneddoto di un’anziana di Aleppo che gli chiese: “perché documentate, ormai a cosa serve?”; quella domanda è stata la ragione del suo impegno e del suo lavoro in vari angoli del mondo, il dovere, quasi un bisogno di raccontare. testimoniare.
Mi sto perdendo in mille ricordi, incontri, telefonate, anche quando doveva contestarmi qualcosa, con quel fare da uomo di esperienza, che ti parla perché ci tiene, perché la lealtà, per lui, veniva prima di tutto. Forse tornerò a scrivere di Amedeo, adesso sono solo pensieri in disordine di una collega, di un’amica, di una persona che chiamavi “sorellina”. Ricorderò per sempre le sue parole, quando gli chiesi un consiglio prima di partire per la Siria e mi dicesti: “ricorda che sai come parti, ma non come torni. La guerra ti segna e ti cambia per sempre” o quando gli chiesi in lacrime un consiglio dopo la morte di mia sorella, perché non riuscivo più a scrivere e mi disse che dovevo dare tempo al tempo, e dovevo curare quella ferita.
Oggi ripenso ad Amedeo, a padre Paolo Dall’Oglio, a tutte quelle persone che ho perso in questi ultimi undici anni e il dolore diventa grande, grandissimo. È come se tutto ciò che riguarda la Siria stia tramontando per sempre, lasciando tanto dolore, un senso di impotenza e ingiustizia devastante., un vuoto incolmabile.
Che il Signore accolga la tua anima fratellone. Te ne sei andato in punta di piedi, così come in punta di piedi entravi nelle vite delle persone che raccontavi. Grazie per l’uomo, il giornalista, l’amico e il fratellone che sei stato.