Le sale operatorie erano chiuse eppure ha scelto di lasciare la famiglia, trasferirsi di regione per dare una mano ai colleghi in PS. Avrebbe potuto aspettare che passasse la bufera a casa sua, invece…
A inizio pandemia ho cominciato a intravedere la chiusura delle sale operatorie nell’ospedale bolognese dove prestavo servizio come cardiochirurgo; dopo essermi reso conto della tragedia umana che stavamo attraversando ho deciso passare tra i medici in prima linea che prestavano soccorso ai pazienti covid. Una esperienza che dal punto di vista umano e professionale non dimenticherò mai. Ho lasciato la famiglia per oltre due mesi, con la paura di non tornare più a casa.
Oggi il pronto soccorso è?
La fase critica della pandemia a mio avviso non è ancora passata. Viviamo sì un periodo al di fuori dell’emergenza che ha però messo in ginocchio tutto il sistema sanitario; adesso siamo immersi in una urgenza continua: tra le sequele e i postumi lasciati dalla pandemia sui pazienti che ne sono stati colpiti oltre che dalle problematiche connesse ad altre patologie che per due anni sono rimaste – per così dire – in incubazione. Tra le tante, le patologie cardiovascolari per le quali si attende un aumento della mortalità e morbilità nei prossimi anni. Situazione, questa già critica, visto che prima della pandemia i decessi legati alle patologie cardiovascolari in Italia erano circa 250 mila ogni anno.
Oggi mancano quasi 5mila medici solo in PS. In questi primi sei mesi se ne sono dimessi cento ogni trenta giorni. In 9 strutture su 10 almeno un medico manifesta l’intenzione di abbandonare entro un anno. Perchè i PS sono così deficitari?
La mancanza di medici in PS deriva dallo stress psico fisico cronico cui sono stati sottoposti durante il periodo COVID e per il continuo sovraccarico di lavoro che ancora affrontano giornalmente, tutto questo poi trova l’imbuto strutturale per la mancanza ormai da anni di posti letto. I pazienti sono costretti ad “albergare” a lungo nei PS. Le drammatiche cronache di questi giorni raccontano lo stato dei fatti.
Argomento anziani: sempre più longevi ma sempre più soli
L’Italia è il paese, in Europa, dove l’età media della vita è la fra le più alte. Ma anche qui non siamo pronti. Avere una popolazione di anziani non sempre andrebbe vissuto solo come un vanto perché bisogna invecchiare bene e non come vegetali abbandonati a se stessi dal sistema, dalla società e dalle famiglie. Se ci fosse a monte un sistema sanitario di prevenzione sicuramente avremmo qualche problema in meno. Gli anziani non più autonomi rischiano un drammatico abbandono: i familiari non c’è la fanno a gestirli e li “parcheggiano” in PS, anche se non hanno bisogno di cure, nella speranza che possano essere ricoverati. La conseguenza è facilmente immaginabile.
Papa Francesco con riferimento al “magistero della fragilità” ha dichiarato come “l’emarginazione della vecchiaia corrompa tutte le stagioni della vita”.
E’ vero, l’educazione alla fragilità dell’anziano va formata dall’infanzia, da quando siamo bambini. In questo senso sì coinvolge tutte le stagioni della vita umana.
Attacchi di panico, paure, profonde crisi esistenziali ma anche economiche e familiari; quante di queste storie arrivano in PS?
Sono all’ordine del giorno. In PS arriva di tutto, aggravando e intasando le dinamiche di soccorso. Sempre più spesso riscontro problematiche di persone afflitte da crisi sociale ed esistenziale che dovrebbero essere seguite sul territorio da ambulatori dedicati. Purtroppo quest’ultimi sono pochi sul territorio e funzionano anche male, per poche ore al giorno.
Per tutto ciò però dovrebbe esserci un sistema sociale e voi dovreste occuparvi di curare i problemi medico-sanitari più che quelli esistenziali…
Il medico di PS, ma non solo, io direi tutti i medici, a prescindere dalla specialità, dovrebbero curare e dare un conforto psicologico a tutti i pazienti, tenendo presente che il più delle volte i pazienti non hanno bisogno di farmaci per risolvere i loro problemi. Alla base hanno bisogno di umanità: andrebbe istituita una specifica materia: l’umanizzazione delle cure.
Dal suo punto di osservazione possiamo pensare di aver “scollinato” con la pandemia?
La pandemia è stata una vera e propria emergenza sanitaria. Il periodo attuale è di urgenza continua. La differenza fra emergenza e urgenza non è così netta. Da un momento all’altro si può passare da una fase all’altra con le conseguenze che sono state sotto gli occhi di tutti. Sempre.