Anche dallo stato di agonia in cui vegeta da decenni , il Parlamento riesce a far parlare di sé: un fenomeno da non sottovalutare, da non buttare senza esaminarne i piccoli segni di vita , disorganici, contraddittori, ma pur sempre segni di vita . Spesso negativi, estranei alle funzioni, come si conviene ad un organismo in cui gli organi vitali per il funzionamento sono geneticamente modificati : i partiti, quelli che nella Costituzione fanno ancora bella mostra di se’, all’articolo 49. Solo lì: nella realtà sono spesso sostituiti da arrembanti start up monopensiero , quando ce ne è uno.
Partendo dall’alto, dal presidente di una delle camere, quella di Montecitorio . Quello, tra i due di legislatura, che maggiormente sembrava avere colto il segno primario del mandato , la capacità di accantonare la propria appartenenza di origine. La castità politica , richiesta per il tempo del mandato, l’essere senza partito. Ha scelto il momento peggiore per rioccuparsi del partito, l’ultimo miglio di legislatura , appoggiando uno dei contendenti e schiaffeggiando l’altro . Ripetutamente e infine platealmente. E’ stato uomo di parte, quindi non di garanzia. Un presidente di assemblea è tale se tutti i gruppi, persino tutti i parlamentari , lo sentono al di sopra delle parti. Lui non ha saputo esserlo, alla prima prova vera, dimostrandosi inadatto al ruolo.
Poi , una scissione, in piena regola, nei 5 stelle. Non capitava dai tempi di Bersani e D’Alema in fuga da Renzi : loro , uomini iperpartitici, ridotti al silenzio nel partito più costituzionale, il pd. Per eredità, il più costituzionale, non per propri meriti . Oggi, l’emblema del populismo, il movimento di Grillo, ritrova il senso delle scelte: si divide sulla fedeltà europea ed atlantica, o quanto meno sulla intensità della stessa. E nasce una formazione guidata dal più accanito populista del decennio: quello del gelido taglio dei vitalizi, dell’assalto alle istituzioni del paese più amico, la Francia; quello che sconsacrava, pur di brindare ai propri sinistri successi , i balconi di Montecitorio. Oggi, comunque la si pensi , la sua è l’abiura del populismo , quasi contronatura . Lui stesso, il più grande nemico del terzo mandato, si muove per averlo ,il terzo mandato : ma al contempo è la prova vivente dell’idiozia del tetto ai mandati, orgoglio del mito della casta, del mandato come privilegio, e non come servizio . Da dismettere nel momento in cui si inizia ad essere buoni parlamentari , di norma dopo un paio di legislature, non prima. Di Maio è oggi un buon deputato: non è questo l’ obiettivo di un’elezione, di una rappresentanza? Oggi, gli converrebbe chiedere qualche scusa , fare qualche autocritica: a Mattarella, per cominciare. E al Parlamento , amputato senza motivo , in gran parte ad opera sua. Poi, buona fortuna.
A proposito del tetto dei mandati, pochi sanno che vigeva nel vecchio, grande partito comunista: due mandati e via, tranne i leader. Il cinismo di un referto di invalidità , redatto dentro l’istituzione, per passare al lavoro più importante, quello per il partito, con il frutto di quell’invalidità. Da un lato , il riconoscimento della capacità formativa del mandato. Dall’altro, una della tante pagine cupe del finanziamento della politica. Conclusa , non senza aver mostrato il paradosso tragicomico di un ex parlamentare per invalidità rieletto , e quindi non più invalido, in altra lista , nata anche allora da una scissione.
Una parola per commentare due buoni esempi: un deputato , Elio Vito, che si dimette dalla Camera per le troppe ambiguità del partito sui diritti, sulla democrazia , sulle alleanze. Toccherà alla Camera decretarne l’uscita: lo giudicherà una comunità zeppa di mercenari della migrazione, i piedi ben piantati nel mandato fino all’ultimo giorno L’articolo 67 della Costituzione , il divieto di mandato imperativo , era il giusto rifugio per Vito. L’altro, Gianni Cuperlo , inserito alle ultime elezioni nelle liste elettorali del partito , deputato sicuro , rinuncia per non essere imposto a elettori con cui non ha relazione. Piccoli gesti personali con un grande valore istituzionale, specie nel tempo degli egoismi.
Tutto questo mentre da dentro e fuori le camere si lamenta la fine del Parlamento , il parlamento vilipeso, espropriato . Lamentele che cercano un uso delle camere che dia visibilità alle proprie idee, in genere, un uso sconosciuto alle funzioni parlamentari. Nessuno , o quasi, che si accorga, e quindi denunci, la vera spoliazione delle Camere: deputati non più eletti ma scelti per capacità non competitiva unita a fedeltà, dai nuovi titolari della sovranità : pochi , piccoli leader di un tempo poco incline alla democrazia . Soprattutto, più di tutto, leggi fatte fuori dalle Camere, umiliate e vilipese, il governo che fagocita le camere. Tutti i governi, da decenni. Grandi giuristi, filosofi sapienti, grilli straparlanti, non si leva una voce per una vera difesa del parlamento.