In questi ventotto anni sono entrata più volte nel mondo di Ilaria, dal momento della sua esecuzione, quel 20 marzo 1994.
Con la volontà di cercare nei suoi lavori una traccia per capire la sua morte, innanzitutto.
Con la consapevolezza che quel che rimane dei suoi appunti sia solo una minima parte di quanto è stato purtroppo trafugato, eliminato, occultato.
Con la curiosità di capire più a fondo il suo lavoro fino a quel momento, per ripercorrere il filo delle sue ricerche, delle sue indagini e delle sue inchieste.
Con la simpatia che si prova per una giovane donna appassionata di un lavoro difficile, di un mondo lontano. Un lavoro difficile, quello del giornalista come lo faceva Ilaria. Lo constatiamo anche in questi mesi di guerra alle porte dell’Europa dopo l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin: molte migliaia i morti, tantissimi civili donne e bambini; più di trenta giornalisti uccisi.
Con la stima e l’affetto per Giorgio e Luciana, indomabili, grazie ai quali Ilaria è un simbolo, un esempio per l’Italia migliore.
Dal suo lavoro emerge la sensibilità di una donna che andava a scavare per raggiungere la verità dei fatti, soprattutto se quei fatti riguardavano la violazione dei diritti delle donne e degli uomini.
La sua voce era diventata, nei primi anni ’90, la voce della Somalia, non del governo o delle missioni internazionali, ma della Somalia dolente e violentata, che pagava ogni giorno tributi di sangue alla guerra fratricida e agli interessi internazionali che la flagellavano. Proprio per la sua volontà di approfondire i fatti Ilaria ha iniziato a seguire “una pista” pericolosa, che ha segnato la sua morte. Una storia d’illegalità e traffico di armi e di rifiuti che la popolazione somala subiva. Una storia che non ha potuto raccontare.
Sono passati ventotto anni dalla sua morte.
Sappiamo quel che è successo quella domenica 20 marzo 1994.
Sappiamo quel che è successo prima e anche dopo.
Sappiamo il perché, da chi era composto il commando assassino. Non sappiamo con certezza chi ha ordinato l’esecuzione, chi ha armato il gruppo di fuoco e chi ha coperto esecutori e mandanti. Sappiamo che sono spariti documenti importanti, che non fu fatta l’autopsia, che può esserci stato mancato soccorso, che c’è stato depistaggio prolungato fin dai primi giorni. Lo dice a chiare lettere oramai anche la sentenza del Tribunale di Perugia (dicembre 2017) che ha disposto la scarcerazione di Hashi Omar Hassan in carcere da diciassette anni innocente: un vero e proprio “capro espiatorio” Ma vogliamo cercare ancora per avere giustizia e tutta la verità, mettendo all’opera tutti gli strumenti della conoscenza: questo è il nostro impegno, l’impegno della comunità del #NoiNonArchiviamo che è andata allargandosi in tutti questi anni. Tutto il mondo della cultura nelle sue diverse espressioni si è impegnato (scrittura, poesia, musica, teatro, espressioni artistiche …); moltissime scuole, biblioteche, centri culturali, giardini parchi sono intitolati a Ilaria. Anche piazze e strade.
Questa iniziativa di San Donà di Piave è molto forte e bellissima. Tre strade a tre donne. Ilaria Alpi, Tina Anselmi, Tina Merlin: tre donne straordinarie, molto diverse tra loro ma tutte e tre di talento e accomunate da impegno e passione per il loro lavoro sempre per il “bene comune”. Grazie Ilaria, Tina e Tina e grazie a San Donà di Piave, alla Commissione per le pari Opportunità.
*Mariangela Gritta Grainer (p. #NoiNonArchiviamo e Presidente www.articolo21.org Veneto)