Riceviamo da Maurizio Vezzosi, video reporter freelance citato nella “lista di putiniani” pubblicata dal Corriere della Sera, la nota che ha inviato anche al Corriere in risposta a quell’articolo. Volentieri la pubblichiamo di seguito.
Gentili colleghi,
Non posso esimermi dal prendere parola per replicare in modo opportuno alle esternazioni del vostro giornale sul tema della fantomatica rete di propaganda “putiniana” di cui, a vostro avviso ma a mia insaputa, sarei membro. La lettera che state leggendo vi sarebbe pervenuta in anticipo se solo avessi modo di comporla già nei giorni trascorsi. Tuttavia, da mesi mi trovo in un contesto di guerra, ed in guerra il tempo è quasi sempre poco. Nella decina di persone segnalate con nomi, cognomi, foto nella pubblicazione del vostro giornale di domenica 5 giugno ci sono anch’io, pur non essendo membro di alcuna presunta rete, tanto meno “putiniana”. Quanto realmente può venirmi imputato è l’aver messo in discussione una certa narrazione sulla guerra d’Ucraina, aver insistito sulla necessità di una soluzione politica ed aver criticato la scelta di inviare armi a favore dell’esercito di Kiev. Con la particolarità di averlo fatto sia nel corso di conferenze ed interventi televisivi, sia lavorando per mesi nel teatro di guerra ucraino, apparentemente senza suscitare alcun genuino interesse da parte del vostro giornale. Il punto di vista che ho espresso è sufficiente, evidentemente, per essere liquidato come “putiniano”: d’altra parte, soprattutto negli ultimi mesi analoghi anatemi sono stati lanciati contro chiunque in Italia o all’estero abbia avuto l’impertinenza di criticare pubblicamente l’operato della presidenza ucraina o, peggio ancora, di quella statunitense. Impertinenza che ha distinto – oltre ad alcuni esperti e commentatori italiani – anche Henry Kissinger e Papa Francesco. Quelle pubblicate dal vostro giornale – e poi riprese da altre redazioni – sono congetture gravemente diffamanti nei miei confronti, come semplice cittadino italiano e come professionista.Mentre l’edizione del vostro giornale di domenica 5 giugno veniva data alle stampe, mi trovavo a Donetsk, città da dove scrivo: a circa un chilometro dal luogo in cui mi trovavo, in pieno centro città, sono esplosi una decina di missili “Grad” lanciati dall’esercito ucraino. Una manciata di minuti dopo mi trovavo sul posto per documentare quanto successo, respirando il fumo acre di decine di veicoli inceneriti e camminando su tappeti di vetri andati in frantumi. Dopo aver raccolto le immagini dell’attacco, ho trascorso la notte montando il reportage che “Non è l’Arena” avrebbe trasmesso su LA7 di lì a poche ore: dopo aver inviato il reportage, di prima mattina, ho ricevuto notizia della vostra pubblicazione con una foto e nell’immediato ho ritenuto che si trattasse di uno scherzo. Nella persona della dott.sa Sarzanini, il vostro giornale ha giustificato la pubblicazione con la necessità di non poter ignorare una “notizia”. Ma il vostro giornale si è forse limitato a riportare una “notizia”? O ha tracciato una narrazione congetturale gettando consapevolmente discreto su alcune persone, tra cui chi scrive? Ha forse valutato in modo critico i bollettini giunti – benché riservati – nelle mani della dott.sa Sarzanini? Si è forse preoccupato, almeno, di interpellarmi prima o dopo la pubblicazione? Quale circostanza dimostrebbe il mio aver attinto, come il vostro giornale sostiene, all’articolo di Manlio Dinucci da voi citato? La dott.sa Sarzanini, durante un confronto con alcune delle persone “messe all’indice” ha affermato: “Queste persone sono liberissime di esprimere le proprie opinioni, ma se raccontano fatti che non sono provati, e questi fatti si trasformano in disinformazione e propaganda, non va bene. E non andrebbe bene neanche se lo facessero a favore dell’Ucraina”, Quali sono i “fatti non provati” di cui io avrei parlato? Di quale disinformazione parla la dott.sa Sarzanini? Di quale propaganda? Non escludo che qualcuno tra le persone inserite nell’infausta lista possa aver diffuso notizie senza verificarle: se così fosse, la scelta sarebbe stata senz’altro criticabile, ma dove sarebbe la mia responsabilità? A questo proposito, sorge spontanea una domanda: il vostro giornale, dal 24 febbraio scorso, quante notizie ha pubblicato sul tema della guerra riportando come attendibili ipso facto le informazioni divulgate da una delle due parti belligeranti senza sottoporle ad alcun tipo di ragionevole valutazione o verifica? In relazione a quella che sembra ormai una prassi assodata, si dovrebbe forse presumere che il vostro giornale operi nell’ambito di un particolare regime deontologico che lo esenta dai doveri fondamentali che la categoria giornalistica è in generale tenuta ad osservare? Considerando che dal 2014 ad oggi le compagini ucraine si sono dimostrate quantomeno sbrigative nei confronti delle voci critiche, i risvolti della vostra pubblicazione aumentano notevolmente i rischi a cui sono esposto: nell’ipotesi più ottimistica, questo aspetto non vi ha evidentemente preoccupato un granché. Quella emersa con la vostra ormai nota pubblicazione è una vicenda assai grave che non trova precedenti simili nella storia dell’Italia repubblicana. Ma, considerando l’atmosfera che si respira in Italia non posso dirmi sorpreso da questo tentativo di delegittimazione, benché mi stupisca il vostro piglio, degno, in questa circostanza, di un giornale scandalistico. Sulla vicenda di cui mio malgrado sono diventato – insieme ad altri – protagonista, permangono ad oggi evidenti incongruenze ed ambiguità che forse il tempo aiuterà a dipanare. Sono portato a credere che, come voi affermate, il mio nome sia effettivamente presente in almeno uno dei “bollettini” ancora secretati. Rispetto a questo, non io, non le altre persone “messe in lista”, ma il vostro giornale – dovrebbe pretendere la desecretazione completa dei documenti di cui solo in parte avete rivelato il contenuto: e avrebbe dovuto farlo prima che l’on. Urso, presidente del Copasir, prendesse l’iniziativa in questo senso. A proposito: se questi documenti sono stati redatti su fonti aperte – seppur con il livello più basso di classificazione, come il sottosegretario Franco Gabrielli ha confermato – che cosa si dovrebbe tenere lontano dagli occhi dell’opinione pubblica? La pubblicazione del vostro giornale sembra ricalcare i dossier che certe università o centri studi statunitensi sono soliti stilare sulle figure che in Italia – o altrove – esprimono punti di vista non apprezzati. E’ oltretutto curioso che in un articolo pubblicato lo scorso 20 maggio da una nota piattaforma statunitense si potessero già rintracciare vari argomenti poi comparsi nel bollettino sulla “disinformazione”. E’ evidente che la vostra sia stata una scelta deliberatamente diffamante nei miei confronti e denigrante rispetto alla mia figura: tuttavia, il vostro giornale ha il merito di aver portato alla conoscenza del grande pubblico alcuni risvolti delle iniziative governative sulla “disinformazione”. Dai risvolti dell’operazione a cui il vostro giornale – coadiuvato da altri – si è prestato emerge il disappunto mosso dall’orientamento della maggioranza degli italiani, dimostratasi scarsamente influenzata da mesi di pressione mediatica volta a costruire consenso in favore della politica di scontro pretesa dagli Stati Uniti e coadiuvata dal governo italiano. Quanto emerge dalle pagine del vostro giornale è una pittoresca concezione del pluralismo e della democrazia liberale. L’operazione a cui il vostro giornale si è prestato certo non ne incentiva la credibilità e la fiducia che i vostri lettori vi ripongono. Né vi avvicina agli obiettivi che rincorrete, tentando di stigmatizzare come una conseguenza della “disinformazione” un senso comune degli italiani che si dimostra essere piuttosto lontano dal vostro, non solo in materia di guerra e di pace. E arrivando persino a dare degli improbabili volti ai presunti responsabili dei vostri fallimenti. Vista la grottesca cornice in cui vorreste inserire la mia figura, posso immaginare che le mie analisi ed il mio lavoro sul campo abbiano finito per turbare la serenità dalla vostra redazione, o di chi ne ispira il lavoro. Al vostro giornale rispettare il mio lavoro non interessa: se così non fosse, prima di denigrarlo e liquidarlo si sarebbe almeno preoccupato di conoscerlo. Del resto, anche accusarmi in modo vagamente più serio di deficit di critica nei confronti della Russia dei nostri giorni potrebbe soltanto strappare un sorriso a chi conosce le mie riflessioni. Le continue esplosioni a poche centinaia di metri da dove scrivo mi suggeriscono di tornare ad occuparmi della guerra che pare assai piacervi. Credo che con uno sforzo potreste riuscire a trattare i grandi temi della politica nazionale ed internazionale con una maggiore serietà: nel rispetto degli italiani e nel loro interesse. Auspico che possiate riuscirci, pur temendo che il giudizio degli italiani nei vostri confronti sarà piuttosto severo.
Con i migliori auguri
Donetsk, 20 giugno 2022
Maurizio Vezzosi
Nota: la presente lettera verrà pubblicata da “Articolo 21”, a cui va la mia stima e la mia gratitudine.
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