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“La Russia di Putin” di Anna Politkovskaja e la disinformazione nei media italiani

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Leggere con attenzione “La Russia di Putin” di Anna Politkovskaja (pubblicato nel 2004) consente di non farsi plagiare da chi produce disinformazione, quotidianamente, nel cosiddetto mainstream, dove si è venuta a creare una polarizzazione tra “putiniani” e “antiputiani”. Vengono perfino create  liste di proscrizione con tanto di foto segnaletiche (vedi Corriere della Sera di domenica 5 giugno 2022: “La rete di Putin in Italia: chi sono influencer e opinionisti che fanno propaganda per Mosca. Il materiale raccolto dal Copasir individua i canali usati per la propaganda e ricostruisce i contatti. Così la «macchina» fa partire la controinformazione nei momenti chiave attaccando i politici pro Kiev e sostenendo quelli dalla parte dei russi”. Peraltro l’edizione cartacea del Corriere della Sera (in veste insolitamente color verde)  contenente l’elenco dei cosiddetti “putiniani” è stata distribuita gratuitamente nell’ambito del Festival dell’Economia di Trento, domenica 5 maggio, nello stupore generale delle persone fermate per strada. Il giorno dopo è arrivata la smentita da Adolfo Urso, presidente del Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) che afferma di non avere mai svolto “proprie indagini” su parlamentari, opinionisti, influencer, e giornalisti. Come a dire che l’iniziativa non è partita da loro…

Di “crisi della democrazia e disinformazione” si è parlato al Festival dell’Economia di Trento dove sono intervenuti docenti universitari della LUISS, La Sapienza e dell’Università di Trento, in cui è stato evidenziato l’apparente paradosso che sta alla base degli stati democratici e relativa disinformazione, cosa che invece per i relatori è il risultato di una eccessiva offerta di informazione causata dall’esistenza di web e social media. La democrazia di conseguenza diventa più fragile. Non più informazione ma persuasione è il risultato di questo flusso eccessivo scarsamente qualitativo.

Il dibattito ormai non permette di criticare opinioni diverse da quelle che sembrano ideologie farcite di ipocrisia e retorica dove nulla viene concesso alla libertà di pensiero. Quella libertà che la giornalista russa assassinata a Mosca nel 2006, la distinse pur sapendo di rischiare la propria vita. Basterebbe leggere anche “Cecenia. Il disonore russo” pubblicato nel 2003, per sfatare ogni perplessità a riguardo e che riporta drammaticamente a quanto sta accadendo in Ucraina. Senza però dimenticare anche le responsabilità politiche della Nato che hanno il loro peso con le mire espansionistiche nel contribuire la tensione tra Europa e Russia. La narrazione è spesso faziosa e parziale e tende ad estremizzare uno scontro che ha origini ben più remote di quella che ora è il presente con l’invasione dell’Ucraina. Anna Politkovskaja aveva ben chiaro le responsabilità di Putin e della sua politica, fin dalla sua ascesa al potere: «Che cosa me lo fa detestare al punto da dedicargli un libro? Non sono un suo oppositore politico, sono solo una cittadina russa. Una moscovita quarantacinquenne che ha potuto osservare l’Unione Sovietica all’apice della sua putrefazione comunista, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, e non vuole ricascarci – ammettendo che l’elezione del secondo mandato da presidente non aveva trovato nessun ostacolo e così fu -, il 7 maggio del 2004 Putin, tipico tenente colonnello del KGB sovietico con la forma mentis – angusta – e l’aspetto – scialbo – di chi non è riuscito a diventare colonnello, con i modi di un ufficiale dei servizi segreti sovietici a cui la professione ha insegnato a tenere sempre d’occhio i colleghi, quell’uomo vendicativo (alla cerimonia di insediamento non è stato invitato nessun rappresentante dell’opposizione o di qualunque partito che non sia in completa sintonia con il suo), tornerà a insediarsi sul trono. Sul trono di tutte le Russie». È a questo punto che Anna Politkovskaja contestualizza quello che è accaduto con la rielezione di Putin, acclamato anche da leader politici europei, vissuta nell’indifferenza generale della popolazione che subiva una scelta già decisa. «Erano apatici. Del tutto indifferenti al rito della rielezione di Putin». Una reazione colta tra i votanti in cui è evidente la sottomissione subita dal popolo che la giornalista spiega così: «A renderlo possibile però – e va detto – , non sono state solo la nostra negligenza, l’apatia e la stanchezza seguite a tanto – troppe rivoluzioni. Il processo è stato accompagnato da un coro di osanna in Occidente. In primo luogo da Silvio Berlusconi, che di Putin si è invaghito e che è il suo paladino in Europa. Ma anche da Blair, Schroeder e Chirac, senza dimenticare Bush junior oltreoceano. Il nostro ex KGBISTA non ha trovato inciampi sul suo cammino. Né in Occidente, né in un’opposizione seria all’interno del Paese. Per tutta la sua cosiddetta campagna elettorale – dal 7 dicembre del 2003 al 14 marzo 2004 – Putin si è fatto beffe del suo elettorato». Un’accusa che oggi appare ancora più drammaticamente vera.

(Nella foto la copertina del libro)


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