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La Rai zoppa senza missione

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È un mistero la missione della Rai. L’azienda radio-televisiva pubblica è uno strano dinosauro. È la più grande struttura informativa e culturale italiana, ma raramente fa notizia per una esclusiva giornalistica o per un importante film o sceneggiato televisivo prodotto. In genere finisce sui giornali solo quando scattano le nomine (Tg, Gr, reti televisive e radiofoniche) e il connesso scontro tra e nei partiti su chi nominare. Così è accaduto anche mercoledì 8 giugno.

Da decenni la storia si ripete. Grande attenzione alle nomine e poca al prodotto, ai contenuti. Quando va bene c’è la stanca riedizione della Rai dei tempi d’oro, quella che fotografava l’Italia in ebollizione che cambiava. Carlo Fuortes non ha fatto mistero della sua preoccupazione. L’amministratore delegato di viale Mazzini già l’anno scorso ha suonato l’allarme: il perimetro aziendale «è enormemente a rischio». La Rai è a forte rischio: si difende dalla concorrenza privata ma perde il pubblico giovane e la pubblicità verso le televisioni private e i canali su Internet.

Fuortes, scelto da Mario Draghi per guidare il colosso radio-televisivo pubblico, è riuscito a rilanciare il Teatro dell’Opera di Roma ma fatica a far correre il Cavallo di viale Mazzini. Marinella Soldi (una manager con un lavoro apprezzato a Vodafone Italia e in altre imprese), anch’essa scelta dal presidente del Consiglio come presidente della Rai, si limita alle sue competenze: un lavoro di rappresentanza.

All’azienda del servizio pubblico radio-televisivo continua a mancare un piano industriale. Soprattutto non esiste  una missione della Rai. L’azienda è modellata ancora sulla Rai nata dalla riforma del 1975, quella che passò il bastone del comando dal Governo al Parlamento (con il consiglio di amministrazione eletto dalla Camera e dal Senato). L’azienda si aprì alla società italiana che cambiava. Oggi, come allora, c’è più o meno la stessa struttura portante: Tg1, Tg2, Tg3; Rai1, Rai2, Rai3 declinate sia sul piano televisivo che radiofonico. In più ora esistono altri giornali (Rainews24, Televideo, Rainews.it) e nuovi canali televisivi (Rai4, Rai Movie, Rai Storia).

Fuortes dovrebbe mettere in piedi il piano industriale approvato dal precedente consiglio di amministrazione guidato dal tandem Foa-Salini. Ma la “riorganizzazione per generi”, lasciando quella per testate e reti, ancora non si vede. Non si vede nemmeno in che modo i cittadini dovranno versare il canone dal 2023 (c’è stato lo stop al pagamento di 90 euro l’anno tramite le bollette della corrente elettrica).

Manca soprattutto un progetto editoriale e culturale per la Rai. Manca quale dovrà essere il suo compito, la sua missione. Aiuta a capire rileggere un libro di Alberto La Volpe: “Rai 643111. Il taccuino di un giornalista lottizzato”. L’ex direttore del Tg2 alla fine degli anni Ottanta (in precedenza vice direttore del Tg3 e responsabile degli speciali del Tg1) spiegava: «I giornali vincenti si fanno rispettando gli ascoltatori e i giornalisti. Seguendo una linea editoriale ma in autonomia». La Volpe, giornalista fuoriclasse, socialista, spiegava così il titolo criptico del suo libro sulla Rai: “643111” non era un prefisso telefonico ma «una cifra irriverente usata da Bettino Craxi per far capire la lottizzazione». In sintesi: nella Prima Repubblica nella Rai 6 persone erano della Dc, 4 del Pci, 3 del Psi e uno, rispettivamente, del Psdi, del Pri e del Pli. “643111” era un numero che rispecchiava la forza elettorale dei vari partiti.

Ogni direttore, poi, elaborava e realizzava la linea editoriale della propria testata e rete. La Volpe, morto qualche anno fa, nel suo libro, raccontava la sua “filosofia”: difesa dei diritti di libertà, dei diritti dei cittadini-consumatori, delle minoranze. Ricordava il suo lavoro in difesa dell’uguaglianza sociale, dell’ambiente. Rammentava le battaglie giornalistiche nella lotta alla mafia. Al Tg2 diede vita a “Lezioni di mafia”, un programma basato sugli interventi di Giovanni Falcone. Creò rubriche come “Diogene”, “Non solo Nero”, “Mafalda”. Varò per la prima volta una redazione Ambiente. Il vostro cronista ebbe la fortuna di lavorare con lui.

Anche il Tg1 e il Tg3, con tagli diversi dal Tg2, diedero vita a importanti innovazioni editoriali. Fu costruita una missione per la Rai servizio pubblico. È quello che manca da tempo. La Rai della Seconda e della Terza Repubblica hanno dedicato il loro maggior impegno alla lotta per le nomine e agli scontri sulle “lottizzazioni”.


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