Il suicidio della professoressa trangender, originaria di Marcon in provincia di Venezia, è un dramma che ci riguarda tutti.
La morte di Cloe Bianco è un grido straziante, che sfonda l’animo umano e rimane lì, dentro di te, e non te ne liberi più. Non è possibile.
Quel grido non può e non deve restare inascoltato.
Deve spazzare via i sussurri ipocriti, deve spaccare i vetri delle case comode, rompere le catene che avvolgono il rispetto e la dignità.
Deve essere ascoltato nel silenzio di noi stessi e trovare eco quando incontriamo una qualsiasi persona sulla nostra via.
Ci riguarda tanto, si, quello che è successo a Cloe, il modo in cui è stata cacciata dalla scuola dove insegnava, senza alcuna ragione… anzi per la sua ragione di vita: quella di insegnare e comunicare con i suoi alunni.
Quanto dolore le ha inflitto questa società per aver spinto Cloe Bianco a suicidarsi dandosi fuoco nel camper dove viveva al lato della strada regionale tra Auronzo e Misurina, in provincia di Belluno)?
Ciò che l’ha condotta a un gesto così estremo è sconcertante e inaccettabile.
Specchio di una società spietata.
Un mondo disumano che dovrebbe spaventare tutti noi che abbiamo figli.
Che siano o meno esposti all’esclusione e al giudizio di una società ancora troppo retrograda e chiusa alla diversità, cosa mai potranno aspettarsi di buono da un mondo che è sempre più respingente nei confronti dei più fragili?