Con Pierfrancesco Favino, Tommaso Ragno, Aurora Quattrocchi, Francesco Di Leva
Nella citazione iniziale del film, Pasolini ci avvisa che “La conoscenza è nella nostalgia: chi non si perde non la possiede”. E Martone, in questa sua ennesima escursione-incursione dentro il ventre di Napoli, sembra volercelo dimostrare. Stavolta, l’autore de “Il giovane favoloso” ci racconta di Felice, interpretato da uno straordinario Pierfrancesco Favino, un uomo che torna nella città partenopea, sua di origine, dopo 40 anni vissuti tra Sudafrica, Libano ed Egitto. È diventato musulmano e confonde, talvolta, la lingua araba con il dialetto napoletano. Insomma, Felice incarna l’anima mediterranea, nei tratti somatici e in antiche culture includenti. È un uomo tranquillo quello che arriva a casa della madre Teresa, che non vede e non sente da anni, ma tutto intorno a lui sembra, da subito, incerto ed inquietante. Il perché di questa sensazione è il motivo stesso del film, non la sua trama ma la sua stessa essenza. Felice si inoltra nei vicoli del suo Rione Sanità e scorge sguardi simili a quelli che aveva lasciato tanti anni prima, ma molte cose sembrano non appartenergli più, nel loro essere al contempo lontane e vicine.
La madre, ultimo anello di congiunzione tra passato e presente, muore poco dopo il suo arrivo. A questo punto, Felice potrebbe ripartire per l’Egitto, dove l’aspetta la sua compagna medico ed una facoltosa attività imprenditoriale. Perché non parte allora? Nei flashback, che Martone ci regala in un efficace formato 4:3, rivediamo Felice a bordo della sua moto, in compagnia di un antico amico di scorribande, Oreste. Don Luigi, il prete anticamorra che ha officiato la messa per i funerali della madre di Felice, quando questi gli chiede di Oreste lo avverte di stargli lontano, così come un vecchio amico di famiglia incontrato per caso in un ristorante. Un avviso gli giunge pure dall’ incendio della sua moto.
Oreste è diventato un temuto boss della Sanità, meglio stargli alla larga.
Felice vuole rivederlo, vuole parlargli. Perché? Cosa lo obbliga a questo passo?
C’è qualcosa di forte che lega questi due uomini e che sarebbe bene dimenticare. Ma Felice non riesce ad essere conseguente. Ha un tarlo che lo rode, e che si amplifica ancora di più man mano che si muove nei meandri di quella Napoli arcaica che sente di amare sempre di più, che sembra sempre uguale, ma che in realtà non è più la stessa. Un altro flashback ci informa che, durante un furto notturno in un appartamento, Oreste aveva ucciso il vecchio proprietario che si era svegliato all’improvviso. Felice era lì con lui, e da allora non aveva più rivisto l’amico. Era fuggito all’estero per sottrarsi ad ogni responsabilità e pena. Adesso sente di dover spiegare tutto all’antico sodale. La sua paura, la necessità di salvarsi da ciò di cui non si sentiva colpevole, ma soprattutto di non averlo mai rinnegato. Ma è ormai pericoloso farlo, tutto è cambiato, niente è più come prima. Non per Felice, per troppo tempo lontano da quella terra per capire che il suo sentimento non è più universale, che appartiene soltanto a lui. Innanzitutto, non è condiviso da Oreste, che lo vede come un pericolo per la sua sicurezza personale. Così, Felice, dopo averlo finalmente incontrato, e dopo essere stato per l’ennesima volta avvertito dallo stesso Oreste, vanamente, di ripartire, verrà ucciso per strada dallo stesso amico di un tempo.
È la chiusura del cerchio dei sentimenti. La distanza incolmabile tra chi è ancora immerso nell’inferno e chi ha avuto il privilegio o la fortuna di allontanarsene. La nostalgia per Felice significa dunque la morte, intesa come fine di una vita vissuta fino in fondo e giunta naturalmente al suo epilogo, anche se in maniera violenta. La contrapposizione natura-cultura è da sempre uno dei temi forti del cinema di Martone. Il girare di Felice tra i vicoli ritrovati della sua Napoli, melvillianamente, come Jean Gabin in un film di Marcel Carne’, somiglia tanto alle passeggiate in solitario del Renato Caccioppoli protagonista del magnifico film di esordio del regista napoletano, “Morte di un matematico napoletano”. I volti colti dal vero, gli interni dei bassi che trasudano sofferenza e miseria, il caos da suk arabo che annulla la doppia identità di Felice, disegnano una Napoli eternamente tragica. Gli intrecci sentimentali e sociali irrisolti de “L’amore molesto” e de “L’odore del sangue” tornano qui in forma ancora più violenta a segnare un discrimine oramai definitivo dentro una cultura popolare sempre più lontana da una umanità condivisa. In questo senso, “Nostalgia” è una storia di colpa, passione e redenzione, con il protagonista che si muove come un fantasma tra le catacombe di Napoli, simbolo di martirio ma anche di rinascita (sono gestite nel film come nella realtà da giovani napoletani che tentano così di sfuggire ad un destino già scritto, in nome di una speranza per una città che Martone ama in tutte le sue contraddizioni).
Felice respira i luoghi della sua giovinezza ma dietro ogni angolo più o meno buio si nascondono gli agguati di un mondo che ha perso ogni coordinata di convivenza. Per questo, Napoli diventa la metafora di un Occidente crocevia di civiltà messo al muro da una cieca violenza capace di invadere e corrompere ogni aspetto dell’umano. La dissoluzione dell’amicizia tra Oreste e Felice è esterna alla loro volontà. È una decisione della Storia, che sovrasta la volontà dei singoli, le loro emozioni, i loro sentimenti. Tutto è annullato e perso in nome di una sopravvivenza che, ancora oggi, riporta l’uomo alla sua ferinità originaria. Con la grande differenza che nella giungla della Napoli-mondo di oggi si muore per acquisire merce, ricchezza malata, non l’essenziale originario necessario alla sopravvivenza. Martone filma, così, una tragedia greca dei nostri giorni, che con il precedente ” Il sindaco del rione Sanità” compone un dittico prezioso e necessario per potere leggere al meglio la nostra contemporaneità. E quella foto rubata da Oreste a Felice, nella scena finale del suo omicidio, ultima testimonianza di una antica amicizia, è la sintesi ingiallita di un mondo che oramai vive solo nella memoria e nella nostalgia.