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Dc-9 Itavia. Ustica, la strage dai capelli bianchi

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Con buona pace di quanti dicono: “Ancora?”. Con buona pace di chi sostiene che: “Ormai?”. Memoria e ricordo sono importanti e necessari, anche se sono trascorsi 42 anni. Quest’anno poi una quantità di eventi di “attualità” contribuiscono a “distrarre”. Certo: la guerra in Ucraina, la siccità, la pandemia, la crisi… Ustica e la strage di quel DC-9 sono lontani… Già, “lontani”.

Il più giovane, Giuseppe, ha un anno appena. Il più anziano, Paolo, di anni ne ha 71;poi Cinzia, Luigi, Francesco, Alberto, Maria Vincenza… sono 81 le persone su quell’aereo dell’Itavia in volo da Bologna a Palermo esploso il 27 giugno del 1980 sopra Ustica. Persone normali, la loro unica colpa è di essere su quell’aereo.

Rosario Priore, il giudice titolare dell’inchiesta, nella sua ordinanza scrive che “il disastro di Ustica ha scatenato processi di deviazione o comunque di inquinamento delle indagini. Gli interessi dietro l’evento e di contrasto di ogni ricerca di verità sono stati tanti, e non solo all’interno del Paese, ma specie presso istituzioni di altri Stati, tali da ostacolare, specialmente attraverso l’occultamento delle prove e il lancio di sempre nuove ipotesi, con il chiaro intento di soffocare l’inchiesta, il raggiungimento della comprensione dei fatti…”.

Sempre Priore in “Intrigo internazionale”, libro scritto con Giovanni Fasanella (Chiarelettere edizioni), a pagina 135 sostiene: “La strage di Ustica è un caso coperto dall’omertà internazionale, che è ancora più impenetrabile di quella di una semplice cosca mafiosa siciliana o di una ‘ndrina calabrese…L’ipotesi di un cedimento strutturale dell’aereo fu esclusa quasi subito dai periti. Quella di una bomba esplosa all’interno dell’aeromobile, nel vano della toilette, è stata sostenuta a lungo, e ancora oggi c’è chi ne è convinto. Ma è poco credibile, perché le parti principali di questo vano sono state ripescate e su di esse non c’era alcuna traccia di esplosione. No, questa ipotesi non è sostenibile, anche se i periti non hanno mai raggiunto l’unanimità dei pareri”: Alla domanda: “Allo stato attuale, dunque, quella dell’aereo colpito da un missile è l’ipotesi più probabile?”, risponde: “Sì, direi proprio di sì. Anche se ce n’è una quarta che ha un certo grado di attendibilità, quella della near collision, una quasi collisione con un altro aereo”. E ancora: “I periti dell’aeronautica militare hanno sostenuto che l’aereo Itavia, quella sera, a quell’ora, in quello spazio, volasse ‘solo’, cioè non fosse stato avvicinato da altri velivoli, né civili né militari. E non è vero”. A pagina 144 poi aggiunge: “E’ evidente che il DC-9 fu abbattuto da uno o più aerei militari sicuramente indirizzati verso l’obiettivo da un’efficiente ‘guida caccia’, un potente sistema radar in grado di ‘vedere’ anche a centinaia di chilometri di distanza”.

La strage si consuma alle 20.59 e 45 secondi. E’ l’ora in cui il DC-9 sigla India-Tago-India-Golf-India, scompare dagli schermi radar. Fino a quel momento nessun problema. Il decollo è avvenuto con due ore di ritardo, ma il volo procede tranquillo. Dai centri di controllo sentono l’equipaggio ridere e scherzare, raccontano barzellette. Poi un pilota, con un moto di sorpresa, esclama: “Gua…”. Non finisce la frase. Silenzio. Perso ogni contatto. Silenzio. Come se l’aereo non ci sia più. Come se non ci sia mai stato. Ma quell’aereo c’era. Dov’è finito? Cos’è successo, quella sera, alle 20.59 e 45 secondi? Sono in tanti a chiederselo. Sono in tanti a cercare una risposta. Una risposta che chi deve, non vuole, non può dare.

Il giorno dopo il mare restituisce alcuni corpi, una quarantina. L’autopsia rivela che sono morti in seguito alle gravissime lesioni polmonari dovute a decompressione; alcuni corpi presentano lesioni traumatiche. Significa, spiegano gli esperti, che sono morti quando la cabina pressurizzata dell’aereo si è spaccata, in aria; e l’aereo poi è caduto. Ma cos’è successo esattamente? Si parla di incidente strutturale. Di esplosione a bordo. Di un possibile attentato. Si nominano commissioni d’inchiesta, perizie e contro-perizie a non finire, una ridda di ipotesi e – appunto – depistaggi. C’è chi perfino sostiene che il DC-9 abbia galleggiato per ore in superficie; poi sbuca da chissà dove un sommergibile inglese, e squadre di guastatori minano il relitto e lo fanno inabissare; si ipotizza un coinvolgimento di Israele: un’operazione “sporca” contro un aereo francese con materiale nucleare diretto all’Irak di Saddam, e il DC-9 viene colpito per errore. Si parla di responsabilità degli americani, dei francesi, dei sovietici; si parla di un fallito attentato contro Gheddafi…si parla di una bomba a bordo: un attentato collegato alla strage del 2 agosto alla stazione di Bologna, per punire la politica estera italiana di sostegno a Malta, contrastata dalla Libia. Per quel che riguarda la teoria della bomba si arriva a ricostruzioni macabre: l’ordigno nascosto nella toilette, che però viene recuperata intatta, e si ipotizza che in quel momento la toilette fosse occupata, il corpo di qualcuno avrebbe fatto da schermo.

La commissione parlamentare presieduta da senatore Libero Gualtieri usa parole di fuoco; descrive uno scenario fatto di “menzogne, reticenze, deviazioni”. Il reperto principale, i resti del DC-9 sono in fondo al Tirreno, a una profondità di 3700 metri… I nastri con le registrazioni dei centri radar sono negati, distrutti, nascosti. I testimoni sono reticenti, negano a volte l’evidenza; e nessun centro radar quella notte sembra aver funzionato come doveva… Ci vuole tutta la pazienza certosina dei magistrati per recuperare dati e informazioni, decodificare i tracciati, dare un senso alle mezze frasi…

Un po’ alla volta il mosaico si compone. Quella sera, intanto, ci sono una quantità di aerei in volo, assieme al DC-9: aerei italiani che improvvisamente decollano, e che altrettanto improvvisamente sono fatti rientrare; ma ci sono anche altri aerei: forse americani; forse, più probabilmente, francesi. Che ci fanno? Esercitazioni? O devono intercettare qualcuno? Chi insegue e chi è inseguito? La Francia non ha mai risposto alle rogatorie italiane. Da oltralpe si arriva all’impudenza di sostenere che la base militare di Solenzara, in Corsica, alle cinque del pomeriggio è chiusa. Come un ministero.

I periti si dividono: missile; no, bomba; no, collisione in volo; anzi, quasi collisione: un aereo che sfiora il DC-9, e lo fa cadere. Le commissioni nominate dall’aeronautica militare propendono per la bomba. Il presidente Francesco Cossiga per anni sostiene la tesi della bomba a bordo; poi, improvvisamente, accusa la Francia, sostiene che la strage è stata provocata da un missile esploso da un caccia di quel paese.

C’è poi un altro mistero. Sui monti della Sila, in Calabria, viene trovata la carcassa di un MIG libico. Ufficialmente lo trovano il 18 luglio, un mese dopo la strage di Ustica. Che ci fa un MIG libico sulla Sila? Chissà. Da dove viene? Chissà. Perché il pilota ha indosso capi di vestiario in dotazione alla NATO? Chissà. I carabinieri sequestrano la zona. Da Tripoli dicono che era un volo di addestramento: il pilota ha un malore, precipita. Ma come c’è arrivato lì? Chissà. E se invece che da Bengasi fosse partito dalla Sardegna? Chissà. E siamo sicuri che sia precipitato il 18 luglio e non prima, magari il 27 giugno? Chissà. Uno dei medici legali fa mettere a verbale: corpo in avanzatissimo stato di decomposizione. Quanto “avanzatissimo”? Quindici giorni almeno. Poi però cambia idea. Chissà. I resti del pilota e del MIG sono restituiti alla Libia, in fretta e furia. Però…Quando anni dopo mi trovo nell’hangar di Pratica di Mare dove è stato ricostruito il DC-9 un carabiniere avverte me e l’operatore che alcuni rottami non li dobbiamo proprio filmare; e perché no? Sono del MIG libico. Quel MIG libico? Sì. Ma non avevamo restituito tutto alla Libia? Proprio tutto no. Ma l’aereo non si è fracassato su una montagna? Sì. E come mai la strumentazione di bordo è intatta? Mistero. Naturalmente l’operatore filma tutto. Li mostriamo in una quantità di servizi per il “Tg2”. Nessuno fiata. Un giorno l’automobile parcheggiata nel box sotto casa la trovo aperta dal lato del conducente. Curioso: non avevo preso a bordo nessuno. La porta finestra che dà sulla terrazza è spalancata. Curioso: chiudo sempre, prima di uscire. Al centro del letto l’apparecchio telefonico, quello fisso. Curioso: non lo uso quasi mai, la linea è sempre disturbata. In casa comunque tutto è in ordine, non manca nulla. Qualcuno mi vuol far capire che volendo possono entrare e uscire come pare a loro? Dai, non giocare ai “Tre giorni del Condor”, non montarti la testa… Nei giorni che seguono non accade nulla. Non ci penso più.

Sono ben altri i fatti inquietanti. Perché le vittime della strage di Ustica sono ufficialmente 81. Ma su quell’aereo, sembra pesare una maledizione. Ci sono un’altra decina di persone decedute, e tutte legate in un modo o nell’altro alla strage di Ustica. Persone che improvvisamente muoiono, si tolgono la vita senza motivo, o sono vittime di strani incidenti… Alcune di queste morti sono certamente tragiche coincidenze. Però tutte? Chissà.

Per dire: i due ufficiali, quella sera in servizio al centro radar di Poggio Ballone, il capitano Maurizio Gari e il maresciallo Alberto Dettori? Gari muore d’infarto, un colpo secco, improvviso. La famiglia assicura che scoppiava di salute. Chissà. L’altro si impicca; aveva confidato che quella sera del 27 giugno, per poco non era scoppiata la guerra. Depressione? Chissà. Muore anche il generale Giorgio Teoldi, comandante dell’aeroporto militare di Grosseto, da cui, quella sera decollarono tre aerei da guerra. Il generale si schianta a bordo della sua automobile; è da solo, e non ci sono testimoni, quando si schianta; un colpo di sonno, un malore? Chissà. Su uno di quegli aerei decollati da Grosseto c’erano i capitani Ivo Nutarelli e Mario Nardini, muoiono il 28 agosto 1988 a Ramstein in Germania, durante le esibizioni acrobatiche, una settimana prima di essere interrogati. Erano due assi, ma anche gli assi commettono errori. Chissà. Il sindaco di Grosseto Giovanni Finetti, raccoglie le confidenze di alcuni ufficiali sulla strage; e muore anche lui, in un incidente stradale, da solo, senza testimoni…Chissà. Un altro generale, Saverio Rana, capo del Registro Aeronautico, il primo che parla di missile, anche lui muore; per infarto…Chissà. Muore un maresciallo dell’aeronautica, si chiamava Ugo Zammarelli, travolto da una motocicletta: indagava sul MIG libico trovato sulla Sila. Non viene disposta l’autopsia, i suoi bagagli spariti. Chissà… Un altro maresciallo, Antonio Muzio è ucciso con tre colpi di pistola da sconosciuti. Lavorava all’aeroporto di Lametia Terme, dove avevano conservato i resti del MIG e i nastri con le registrazioni di volo. Chissà… Un ex colonnello, Sandro Marcucci, si schianta mentre è a bordo del suo Piper anti-incendio, incidente improvviso, e senza spiegazione. Qualche giorno prima a proposito di Ustica aveva rilasciato dichiarazioni di fuoco contro l’aeronautica. Chissà… Il maresciallo Franco Parisi si impicca anche lui. Prestava servizio al centro radar di Otranto, doveva essere interrogato dai magistrati. Depressione? Chissà…

Mai stato un “pistaiolo” che cerca a tutti i costi di unire una quantità di punti sperando che ne esca una composizione; anzi, tendo a scarnificare i fatti, a eliminare più che accumulare. Molti di quei “chissà” possono certamente avere una loro spiegazione logica e credibile. Però la vecchia regola della signora del Giallo: “una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze fanno un indizio, tre coincidenze fanno una prova”.

Si arriva finalmente al processo. Alcuni alti ufficiali dell’Aeronautica italiana sono inquisiti: per l’accusa sanno cos’è accaduto, ma tacciono, depistano, coprono i colpevoli. Dopo un lungo e faticoso processo, sono assolti per non aver commesso il fatto, altri reati ipotizzati cadono in prescrizione. I generali escono così di scena.

Un giorno “Il Corriere della Sera” pubblica un articolo secondo il quale “l’organizzazione Human Rights Watch ha messo le mani, a Tripoli, sull’archivio segreto dell’intelligence libica che – ha rivelato il responsabile del settore emergenze Peter Bouckaert, contiene moltissimi documenti su quanto accadde il 27 giugno 1980…”.

Vero? Non vero? Come mai un’organizzazione per i diritti umani ha quei documenti? Che ne ha fatto, che ne fa? Sono stati acquisiti dagli investigatori italiani?

Sono trascorsi quarantadue anni da quella strage; come per tante altre che hanno insanguinato il paese, quante domande attendono ancora risposta. Quante domande chissà se e quando avranno risposta.


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