Gad Lerner dice che “non può esserci giornalismo senza immedesimazione” e lo dice nel descriversi come un giornalista da marciapiede, il luogo da cui puoi guardare il mondo a tutto tondo, mentre scorre, in fretta o lentamente con le sue tragedie, le miserie, la ricchezza o l’illusione. Leggere il libro-intervista di Elena Ciccarello a Gad Lerner ha il sapore del corso di formazione. E rincuora. C’è un grande giornalista che ha fatto di tutto: è stato tra gli operai, in Amazzonia, dentro i fatti di cronaca degli Anni ‘70, alla radio, in tv, ha intervistato sprattutto dissidenti, politici e sociali, ha fatto un giornalismo “militante”. E quando lo descrive per ciò che è viene voglia di dire ad alta voce che quel giornalismo è ancora possibile. L’autrice dell’intervista è lei stessa una militante di questa professione, direttrice de La via Libera, un giornale dove le cose si raccontano lentamente e sempre con una certa idea di mondo. Insieme questi due hanno scritto “Giornalisti da marciapede” (Edizioni Gruppo Abele), omaggio appassionato alla professione, ma soprattutto un’indicazione precisa di ciò che c’è ancora, e sempre da raccontare, e che troppo spesso non si trova più sui quotidiani cartacei, ma nemmeno su quelli on line e men che meno in tv.
Gad Lerner dice che gli operai, lo sfruttamento sul lavoro, i “padroni” , le classi sociali ci sono ancora, solo che nessuno li descrive più. O meglio li descrivono solo pochi “disperati” giornalisti da marciapede, giovani che battono i territori difficili di questo Paese per pochi euro a pezzo (in senso letterale). Nel racconto, che parte dagli Anni 70 e passa dalle lotte operaie all’avvento della Lega e alle frasi violente contro gli immigrati, poveri tra i più poveri, ci sono spunti utili per il mestiere del giornalista, suggerimenti, richiami alla realtà. Doveva essere “solo” un’intervista lunga e invece è una specie di manuale, buono a dare motivazioni per chi vuole iniziare questo mestiere, per chi deve trovare la forza per continuare a farlo in condizioni complicate e per tutti coloro che hanno un’idea distorta dell’informazione.
Il libro di Lerner e Ciccarello mette il dito nella piaga, trasferisce l’inchiesta sul lavoro sottopagato all’interno della categoria e parla dei giornalisti proletari, pagati 5-6 euro ad articolo. Il risultato è un impoverimento della categoria, ma anche dell’informazione. Un giornalista viene incollato al desk e non ha più il tempo di seguire storie, personaggi. E’ così che molto della narrazione importante, forse necessaria, si perde. Per sempre.
Elena Ciccarello, nel libro, chiede a Gad Lerner perché “i giornalisti sono così restii a denunciare la loro condizione di sfruttati”.
“C’è un velo di reticenza e, al tempo stesso, di imbarazzo”. E’ parte della risposta. E poi viene ricordato il gran lavoro di propaganda fatto da alcune fazioni politiche, vedi il Movimento 5 Stelle, che hanno descritto i giornalisti come mantenuti, dei quali, grazie ai social, si poteva fare a meno.
L’intervista prosegue lungo senteri assai scomodi, che parlano di quanto può essere dannosa l’informazione definita “gratuita” e di quella confusa con l’intrattenimento. E’ un buon libro da leggere, a tratti può fare male a chi ama questo straordinario mestiere, di contro sarebbe una lettura utilissima per coloro che hanno ancora una visione del tutto falsata dei giornalisti, delle inchieste dei giornalisti e dell’informazione in senso stretto.
Gad Lerner ha detto ad Elena Ciccarello che questo lavoro si può ancora fare.