2022: il Medioevo in casa tua

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Ti svegli una bella e calda mattina di fine giugno 2022 e scopri che il Medioevo ti è entrato in casa tramite la prima pagina del giornale sul vassoio della colazione che ti va di traverso.

Già alle 4:55 del 24 febbraio scorso avevi dovuto prendere atto che una vera e propria guerra medievale di aggressione, in piena Europa ed in pieno terzo millennio, si era avverata con tanto di carri armati che avanzano baldanzosi oltre i confini del paese aggredito, bombe che piovono dal cielo, palazzi anneriti, sventrati e ridotti in macerie, morti abbandonati nelle strade, stupri e deportazioni, tanto da far venire la curiosità di osservarla, questa guerra, come un fenomeno di cui si è letto solo sui libri di storia e che si ha il privilegio di esaminare, oggi, dal vero e da vicino. Ma ecco che adesso, la mattina del 25 giugno, apprendi che la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, composta da sei uomini e tre donne (di cui due nominate da Obama) ha falciato via, dalle leggi federali, il diritto delle donne a decidere se abortire: un diritto che non è genericamente “umano”, ma è delle donne e solo delle donne. Un diritto di genere su cui gli uomini non dovrebbero poter interferire perché la maternità appartiene solo alle donne che possono decidere se condividerla con gli uomini, ma che gli uomini non possono usurpare alle donne se non in un clima, appunto, medievale ed oscurantista, di decadenza dei principi occidentali fondati sul rispetto delle posizioni altrui, sul diritto ad esprimersi di ognuno – e soprattutto delle minoranze -, sul diritto delle libere scelte da parte dell’individuo.

La decisione della Corte Suprema americana va in una direzione totalmente opposta permettendo che siano le scelte politiche di ogni Stato federato a decidere sul diritto alla maternità della donna e già si conoscono le posizioni normative di alcuni Stati del centro e del sud che possono arrivare alla prigione per le donne che scelgono di abortire in un altro Stato più permissivo.

Le conseguenze di questa decisione non sono solo interne agli USA, ma si riflettono anche all’estero.

All’interno si manifesta, in primo luogo, una differenza culturale tra la popolazione delle coste, orientale e occidentale, e quella delle zone centrali e del sud che riflette, in gran parte, anche le propensioni elettorali fra gli azzurri democratici e i rossi repubblicani. In secondo luogo, si rafforza anche la disuguaglianza di censo tra chi potrà permettersi di viaggiare per andare ad abortire in uno Stato permissivo e chi non ne avrà i mezzi e sarà costretto a ricorrere a metodi clandestini con tutti i rischi, anche di salute della donna, che ciò comporta.

In terzo luogo, la sentenza della Corte Suprema finisce col radicalizzare ideologicamente due posizioni antitetiche della società privilegiando, oltre tutto, quella preferita dalla minoranza della popolazione perché solo il 27% degli statunitensi è contrario al diritto della donna all’aborto.

Insomma, si tratta di una decisione che esalta le divisioni, ferisce profondamente -ed in alcuni Stati demolisce – un diritto che le donne avevano da cinquant’anni a livello nazionale e pone le basi per mettere in discussione altre importanti conquiste della società americana come il divieto di separazione tra bianchi e neri (sentenza del 1954), i diritti degli omossessuali e perfino, forse – in questo periodo di grandi migrazioni dal Sudamerica verso gli States – quella legge sullo jus soli che permette a chiunque nasca sul suolo federale di essere cittadino americano.

Il profondo ridimensionamento dei diritti del mondo femminile americano esalta la differenza in quel Paese tra progressisti e conservatori e la linea di demarcazione tra i due schieramenti è stata scavata ancora più a fondo, facendola assomigliare ad una trincea che annuncia la ripresa di una guerra civile di cui i primi e sinistri segnali si sono visti il sei gennaio 2021 a Capitol Hill.

Sul piano internazionale, poi, la sentenza americana sull’aborto presenta a sua volta un duplice effetto: sul mondo occidentale e su quello orientale.

Nella sfera europea, arriva come un ceffone in piena faccia utile al risveglio della tutela della democrazia, ma anche uno stimolo, per alcuni Paesi dell’area, a porgere l’altra guancia. In Europa, infatti, abbiamo già assistito, da parte della Polonia e dell’Ungheria, all’adozione di meccanismi e prassi antiabortiste molto pesanti.

In Polonia, dal gennaio 2021, vige la pronuncia del Tribunale Costituzionale che impedisce l’aborto anche in caso di malformazioni del feto. L’aborto è consentito solo in caso di stupro o quando sia in pericolo la salute fisica della donna sotto la sanzione di tre anni di carcere per medico e paziente. La conseguenza è che l’aborto è calato del 97% rispetto ad un numero stimato, in precedenza, tra 100 e 200 mila casi annui.

Anche in Ungheria il regime di Orban privilegia il principio di “integrità della famiglia” e persegue lo sviluppo demografico rendendo pressoché impercorribile l’aborto legale, creando mille ostacoli burocratici alla libera scelta della donna.

Notoriamente la Polonia ha un rapporto strettissimo con gli USA e Orban, per l’Ungheria, segue molte delle iniziative del suo omologo Morawiecki che oggi si trova in posizione perfettamente allineata, se non preconizzata, rispetto al partito Repubblicano d’oltre Oceano. Certamente la Polonia sarà quindi pronta ad offrire l’altra guancia, soprattutto se la politica USA tornerà a rivolgersi a Donald Trump che ha rivendicato la sentenza della Corte Suprema – frutto della nomina in quel consesso, da parte sua, di ben tre giudici ultraconservatori – come direttamente dettata da dio (che Dio lo perdoni!).

Altrettanto lieti della pronuncia saranno Paesi come la Russia e la Cina e, per certi versi, anche la Turchia e l’India. I regimi autocratici non vedono di buon occhio le libertà del mondo Occidentale perché possono accendere il desiderio di democrazia anche nelle loro popolazioni mettendo in pericolo i rispettivi regimi. Ciò che della sentenza USA è più apprezzato da loro, non è solo l’area della decisione (tutti i Paesi dittatoriali disciplinano l’aborto a fini demografici), ma è soprattutto l’eliminazione, per via legale, di un diritto preesistente che viene cancellato con una motivazione di stampo conservativo: la Costituzione americana è un monolite immodificabile e tutto ciò che ivi non è previsto, appartiene alla libera disciplina dei singoli Stati federati, cioè alla politica locale predominante e, perciò, tendenzialmente altalenante.

L’apprezzamento degli autocrati internazionali va alla staticità della normativa fondante degli USA che rende più prevedibile il comportamento dell’avversario sullo scacchiere mondiale facilitando le scelte strategiche di potenza e conquista. Ove, invece, l’interpretazione della Costituzione americana seguisse l’evolversi delle sensibilità della popolazione nel tempo, tutto sarebbe più confuso, meno prevedibile e, quindi, più pericoloso.

Tutto al contrario è il sentimento della maggior parte dei Paesi europei che, in una scelta di tal fatta da parte della suprema giustizia USA, vedono un regresso della cultura americana di mezzo secolo e con la quale non si ritrovano più. Viene così meno una sintonia che aveva distinto il dopoguerra sino all’avvento di Trump, una presidenza che si sperava fosse stata solo una parentesi e, più precisamente, una parentesi buia tra le parole “ti odio”. Gli strascichi nefasti di quell’esperienza, invece, si fanno ancora pesantemente sentire e rafforzano il rischio di un ritorno sulle scene mondiali di quel protagonista incidendo sulla fiducia dell’Occidente nel convergente progresso umano, civile ed economico tra le due sponde dell’Atlantico.

Con la sentenza americana del 25 giugno, l’Europa è oggi un po’ più isolata ed il suo ambito, dorato ed inviato dal resto del mondo, si fa più ristretto assegnandole però il compito di illuminare il resto del globo perseguendo, dopo questi tuffi nel Medioevo, la strada di un nuovo Rinascimento che allontani le guerre e favorisca l’era delle libertà dell’uomo e, soprattutto, di quelle della donna.


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