Subito un’indagine internazionale indipendente per far luce sulla morte di Shireen Abu Akleh , la giornalista di Al Jazeera uccisa a Jenin con un colpo di arma da fuoco alla testa, malgrado portasse bene in evidenza la scritta Press e malgrado indossasse l’equipaggiamento protettivo e fosse insieme ad un gruppo di giornalisti, uno dei quali peraltro è rimasto ferito. Lo chiedono a gran voce la Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj) e la Federazione europea (Efj). Molti i testimoni che attribuiscono la responsabilità di quanto accaduto all’esercito israeliano: un militare avrebbe sparato proprio contro i giornalisti in modo deliberato, anche se è difficile capire in questo caso se si tratta o meno di un gesto premeditato.
E mentre a Gerusalemme, ai funerali della giornalista uccisa, si sono registrati scontri tra i partecipanti e la polizia israeliana, intervenuta per impedire i canti (strappando anche molte bandiere palestinesi), la Ifj fa sapere che chiederà che questo omicidio venga aggiunto ai casi già depositati presso la Corte penale internazionale (ICC). Lo scorso aprile infatti, la Ifj e il sindacato dei giornalisti palestinesi in collaborazione con gli avvocati specializzati in diritti umani di Bindmans LLP e Doughty Street Chambers avevano già presentato alla Corte una denuncia formale di crimini di guerra contro i giornalisti da parte delle forze di sicurezza israeliane. Tra l’altro, la denuncia descriveva già come i giornalisti palestinesi fossero un bersaglio sistematico dei militari israeliani e nominava altre vittime uccise o mutilate dai cecchini israeliani, in particolare Ahmed Abu Hussein, Yaser Murtaja, Muath Amarneh e Nedal Eshtayeh, colpiti mentre coprivano manifestazioni a Gaza. Ma nella denuncia si parla anche di altri 24 giornalisti per fatti che risalgono al maggio dell’anno scorso. A questi, ora sarà probabilmente aggiunto il caso di Shireen Abu Akleh.
“Ancora una volta – ha commentato il segretario generale della Ifj, Anthony Bellanger – i giornalisti, pur chiaramente identificabili grazie all’equipaggiamento e alle scritte riservate alla Stampa, sono finiti nel mirino dei cecchini israeliani. Non erano dimostranti, non minacciavano nessuno: sono stati colpiti per evitare che portassero la loro testimonianza e dicessero la verità su quello che Israele stava facendo a Jenin”
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