Se Andrea e Andrej fossero ancora vivi sarebbero lì, in Ucraina, in prima linea a raccontare il conflitto. Come stavamo facendo otto anni fa quando furono vittime di un agguato che ancora oggi è impunito per la mancata collaborazione del governo ucraino.
L’appello lanciato da Elisa e Rino Rocchelli attraverso le pagine de L’Espresso cinque anni fa per chiedere ‘verità’ sull’uccisione a Sloviansk, nel Donbass, del figlio fotoreporter il 24 maggio del 2014 con lo scrittore e dissidente Andrej Mironov, è rimasto inascoltato.
“Dobbiamo chiedere al governo italiano di pretendere nomi e cognomi da governo ucraino.. Essere alleati non significa finemente di non vedere e di non sapere” esorta il presidente della Federazione nazionale della stampa Giuseppe Giulietti, al quale si affianca tutta Articolo 21 che ha l’onore di avere Elisa Signori, mamma di Andy, presidente di Articolo 21 Lombardia.
Nonostante l’impegno del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani al Senato, che aveva presentato un’interrogazione rivolta al ministero degli Esteri e della Giustizia per sollecitare un’azione di moral suasion sul governo ucraino affinché collaborasse per fare piena luce sull’omicidio del 31enne di Pavia e del compagno di lavoro e di viaggio con cui stava realizzando un reportage sulle sofferenze della popolazione a causa del conflitto in corso nel Paese.
Sul processo a Vitaly Markiv purtroppo c’è poco da dire. O tanto… La Corte di Cassazione lo scorso dicembre ha confermato l’assoluzione per Markiv, l’unico imputato a giudizio per l’omicidio.
“Abbiamo piena fiducia nella giustizia e nel lavoro della magistratura – avevano detto Elisa e Rino poco prima della sentenza – Ci aspettiamo che il verdetto sia conseguente alla dinamica dei fatti e che questo delitto non resti impunito visto che la responsabilità Ucraina è stata per due volte accertata”.
Andy era stato ucciso da colpi di mortaio il 24 maggio 2014, mentre stava realizzando un reportage nel Donbass, zona dell’Ucraina occupata dai separatisti.
“Annullare l’assoluzione per e celebrare un nuovo processo di appello“, era stata la richiesta del pg di Cassazione all’udienza del processo. Vitaly Markiv, italo-ucraino ed ex soldato della Guardia nazionale ucraina, era stato condannato in primo grado a 24 anni di carcere e poi assolto a Milano in appello “per non aver commesso il fatto”. Markiv, dopo aver trascorso oltre tre anni in carcere, è tornato in Ucraina.
“In questo processo si è vista un’ingerenza di uno Stato estero così spudorata come non si era mai visto, ma la giustizia non c’entra con la geopolitica“: aveva detto qualche giorno fa Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi. “Non voglio credere che siccome l’Ucraina è un Paese amico, allora una vicenda come questa debba essere destinata al silenzio – ha aggiunto Giulietti – sarebbe indegno, ricorderebbe un altro caso, quello di Regeni con l’Egitto. Ma è un dato di fatto che l’Ucraina abbia insultato i magistrati, la famiglia e i giornalisti italiani, e che non ci sia stata alcuna reazione. Esiste ancora un Ministero degli Esteri in Italia?“.
“Dopo 7 anni e mezzo forse abbiamo un pò di stanchezza – aveva replicato la madre di Andrea – ma in noi c’è la stessa fermezza, andremo avanti e forse anche in Francia, nel caso“.
Ho personalmente conosciuto e sostengo Elisa e Rino, che sin dal primo momento hanno tenuto a sottolineare che né loro né la sorella di Andy, Lucia, né la sua compagna Mariachiara, erano animati da spirito di vendetta. Il loro obiettivo è sapere come sia andata realmente, conoscere la dinamica vera dei fatti per individuare i responsabili della morte di Andrea e Mironov.
Hanno deciso di rompere il silenzio che si erano imposti per riservatezza e fiducia nell’operato delle autorità giudiziarie italiane perché vogliono, pretendono, che si faccia luce sul caso con serietà e onestà, senza mistificazioni. Che sia fatta giustizia.
I genitori di Andrea erano, sono, pienamente coscienti dei pericoli che corre un fotoreporter di guerra, chiunque fa questo lavoro lo sa. Andy stesso ne era pienamente consapevole. Ma sono fermi nel ribadire che l’uccisione di un giornalista non possa e non debba essere considerata un rischio ‘fisiologico’ del mestiere, “la morte un danno collaterale ‘normale’ in situazioni di pericolo o in una guerra non dichiarata come quella Ucraina”.
Per questo, dopo aver rispettato la richiesta di riservatezza sui dettagli delle indagini avevano deciso di esporsi in prima persona e di lanciare iniziative di sensibilizzazione e mediatiche sul caso di Andrea con il fine di ottenere quella giustizia finora negata.
A cominciare dalle incisive pressioni politiche della Federazione nazionale della stampa e di Articolo 21, che li affiancano in questa battaglia, per impedire che le autorità ucraine continuino a tergiversare e a prendere tempo pur di non dare risposte, come già avvenuto in passato.
E anche se i presupposti, oggi, affinché il loro, il nostro auspicio che si arrivi a una piena verità che accerti le responsabilità di quanto accaduto quel maledetto 24 maggio del 2014 appaiono meno forti noi non dimentichiamo e proseguiamo la nostra battaglia accanto a Eloisa, Rino, Lucia e Mariachiara.