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Ucraina, l’azzardo della Grande Nato

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Ramstein è un nome che passerà alla storia. Verrà ricordato per la Grande Nato. Putin ha sbagliato i conti. L’Ucraina non è crollata sotto i colpi micidiali delle armate russe. Zelensky non è stato defenestrato. Non solo. L’iniziale comportamento prudente di Biden sull’invasione russa del 24 febbraio è diventato sempre più bellicoso.

Il presidente americano ha cambiato atteggiamento soprattutto dopo le stragi di civili come le orribili fosse comuni scoperte a Bucha. Ha alzato il tiro sul piano verbale (Putin è “un criminale di guerra”, “un dittatore”, “un macellaio”), sul piano militare (dalle armi leggere è passato all’invio di quelle pesanti a Kiev), sul piano delle sanzioni economiche a Mosca (stop agli acquisti di petrolio, gas, carbone). Ha chiesto 33 miliardi di dollari di aiuti al Congresso, 20 per le armi. È «un sacrificio» chiesto ai cittadini americani per aiutare l’Ucraina e «sconfiggere la dittatura».

Infine ha alzato il tiro anche sul piano politico cercando di allargare la Nato ad un ampio fronte anti Cremlino. Martedì 26 aprile, di fatto è nata una Grande Nato: nel vertice nella base aerea statunitense di Ramstein in Germania si sono presentati non solo i ministri della Difesa dei 30 paesi aderenti all’Alleanza Atlantica, ma anche quelli di altre 13 nazioni (Svezia, Finlandia, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Israele, Giordania, Qatar, Kenya, Liberia, Marocco e Tunisia).

Lloyd Austin non ha usato toni concilianti. Il segretario alla Difesa statunitense ha fatto salire la tensione proclamando: «Vogliamo una Russia indebolita» in modo che non possa più aggredire nessuno, «Crediamo che l’Ucraina possa vincere se avrà l’equipaggiamento giusto». L’«equipaggiamento giusto» sono le armi pesanti e tecnologicamente sofisticate che, soprattutto, Washington e Londra stanno inviando all’Ucraina per battere l’aggressione di Mosca.

L’Europa potrebbe giocare un ruolo importante per la fine delle ostilità ma è titubante e divisa. Il presidente francese Macron e il presidente del Consiglio Draghi offrono armi e sostengono le sanzioni contro l’aggressione dello “zar” ma lavorano per un cessate il fuoco (la pace è «l’obiettivo principale»). Il premier britannico Johnson, invece, punta soprattutto sulla soluzione militare («l’Ucraina vincerà») come Biden.

Il vertice a Ramstein ha deciso la spedizione di armi pesanti in aiuto a Kiev proprio mentre Antonio Guterres cercava di tessere i fili del negoziato incontrando Putin a Mosca e Zelensky a Kiev. I colloqui del presidente dell’Onu sono stati vani e segnati dal lugubre arrivo di due missili russi su Kiev. Guterres si è detto «scioccato».

I rischi del conflitto sono altissimi. Il vice ministro britannico della Difesa, James Heappey, giudica del «tutto legittimo» che Kiev utilizzi anche le armi di Londra per colpire la Russia. Replica lo stesso Putin con toni molto minacciosi: l’Occidente «vuole fare la Russia a pezzi», in Ucraina Mosca andrà avanti, se qualcuno «intende interferire» la risposta «sarà rapida. Abbiamo strumenti che nessuno ha e li utilizzeremo, se necessario».

Ricompare lo spettro della guerra atomica. Sergej Lavrov considera «inaccettabile» un conflitto nucleare ma i rischi «sono molto significativi». Il ministro degli Esteri russo assicura la volontà di «continuare i negoziati di pace», ma poi il Cremlino non vede maturi i tempi per un cessate il fuoco. Le truppe russe bombardano anche le città ucraine oltre agli obiettivi militari. Hanno ridotte in macerie Mariupol e Kharkiv. Al Cremlino avrebbe vinto l’ala dei falchi su quella dei moderati. I primi vogliono conquistare il Donbass ad est e la costa dell’Ucraina a sud sul Mar Nero, collegando così la Russia alla Crimea già acquisita nel 2014. Bombardano anche Odessa, la più importante città portuale ucraina. Il generale russo Rustam Minnakayev pone perfino nel mirino la Transnistria, una regione russofona della Moldavia.

Può succedere di tutto. Ora c’è anche la Grande Nato in campo (potrebbe nascere ufficialmente nel vertice di fine giugno). Dominano le bombe e le sanzioni (Vladimir Putin ha chiuso i “rubinetti” del gas alla Polonia e alla Bulgaria in risposta alla volontà di pagare come stabilito in euro e non in rubli). Un fatto è sicuro. Il presidente russo per ora punta a una vittoria militare sul campo e non su delle trattative di pace. Ma anche Biden non parla di negoziati. Perfino l’Unione europea non riesce a varare un progetto di accordo di pace e un’ipotesi di sicurezza del vecchio continente.


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