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Report: la pista nera e la tentata censura preventiva

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Report torna sulle rivelazioni di  collaboratori di giustizia e investigatori che avevano denunciato la presenza del leader di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie a Capaci, poche settimane prima della strage, dopo le accuse di depistaggio e falsità che hanno fatto seguito e soprattutto dopo il decreto di perquisizione e sequestro a carico dell’inviato Paolo Mondani. Riprendendo parti non pubblicate di quelle testimonianze e intervistando Giuliano Turone, il magistrato che indago Sindona per l’omicidio di Ambrosoli e poi, con Gherardo Colombo scoprì le carte della P2 a casa di Gelli, riannoderà i fili che portano all’omicidio di Piersanti Mattarella, su cui anche Falcone stava indagando seguendo “la pista nera”.
Ma cosa è successo dopo la puntata di lunedì scorso?
Il martedì 24 maggio alle 7 la Dia, su mandato della Dda di Caltanissetta, si presenta a casa di Paolo Mondani e poi nella Redazione di Report. Esibisce un decreto di perquisizione finalizzato ad acquisire il materiale cartaceo, ma anche quello presente sui pc e sul telefonino, su cui si è basata l’inchiesta rivelatrice la presenza di Delle Chiaie.
Nel decreto di perquisizione Mondani scopre di essere stato pedinato, filmato e intercettato. La procura di Caltanissetta riteneva che volesse “imbeccare” il carabiniere Walter Giustini attraverso una sua documentazione. Ma in realtà il documento che la procura cercava era di Giustini, si tratta delle sue informative di 30 anni fa, niente di segreto o riservato, magari “dimenticato” in qualche cassetto giudiziario.
Il decreto viene revocato nella stessa serata, dicono, perché si è chiarita la provenienza del “documento” misterioso. Sta di fatto che la grave misura, che si può definire preventiva essendo stata emessa il 20 maggio, tre giorni prima della messa in onda della puntata, provoca una reazione a catena, a partire da Articolo21, UsigRai e Fnsi, il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti, e esponenti politici di diversi schieramenti, titoli sui principali siti e servizi radio e tv. E la rinuncia a una perquisizione e sequestro a un giornalista è ormai merce rara, anzi unica.
Ma le anomalie sono altre.
Ma la cosa strana e grave è che Mondani era stato convocato dai magistrati della Procura di Caltanissetta un mese prima di mandare in onda la puntata speciale per i trent’anni da Capaci. La procura sapeva non si sa come delle interviste fatte. E siccome non era stata diffusa nessuna anticipazione, è necessario chiarire a tutti che la legge non prevede affatto che sul lavoro del giornalista venga fatto un controllo preventivo: su quello che sta pensando, sulle fonti che sta incontrando e sulle interviste che sta facendo.
Mondani ha opposto il segreto professionale ai procuratori di Caltanissetta e gli è stato replicato che se avesse mandato in onda alcune di quelle interviste probabilmente la procura avrebbe smentito le notizie. Incredibile: smentiti non avendo mandato in onda nulla. Prima ancora di sapere cosa avrebbero detto i testimoni, che poi, a suo tempo, sono stati i testimoni anche della procura.
La smentita di Caltanissetta, rilanciata urbi et orbi in contemporanea con la perquisizione da un comunicato della stessa Dia, viene ripresa da diverse testate che accusano Report di depistaggio e di riproporre vecchie tesi complottiste ormai smentite su Delle Chiaie.
A questa infamante affermazione ha replicato indirettamente l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato che a gennaio scorso aveva dato il là a questa inchiesta producendo un lungo documento inviato alla Direzione nazionale Antimafia.
Scarpinato, nella trasmissione Spotlive del 25 maggio su Rainews24, ha affermato che Stefano Delle Chiaie fu indagato già nell’inchiesta Sistemi criminali, che cercava di individuare eventuali mandanti esterni delle stragi del 1992, ma allora non raggiunse prove definitive. Cosa che è avvenuta oggi, dopo la scoperta di un importantissimo documento rimasto “coperto” (dimenticato?) per 30 anni che indica Stefano Delle Chiaie come soggetto che incontrava boss mafiosi a Palermo nel 1992 e aveva partecipato alla strage di Capaci.
Aggiungiamo un ultimo tassello di pochi giorni fa.
Il 28 marzo la Procura di Caltanissetta aveva chiesto l’archiviazione dell’indagine sui possibili mandanti esterni a Cosa Nostra nella strage di via D’Amelio, “essendo intervenuta la scadenza dei termini delle indagini preliminari”.
Il 18 maggio il Gip del tribunale di Caltanissetta, Graziella Luparello, rigetta la richiesta di archiviazione sottolineando come le indagini “non possono ritenersi complete”, perché “non risultano avere esplorato e approfondito dei temi investigativi di particolare interesse, alcuni dei quali già noti al momento della formulazione della richiesta di archiviazione, altri sopravvenuti e divenuti ‘fatti notori'”. Ed elenca ben 32 punti da ricostruire.
In particolare, il Gip sottolinea come le nuove indagini dovranno approfondire, in particolare, il tema della “interazione tra associazioni mafiose, destra eversiva, servizi segreti e massoneria.”  Tra i punti evidenzia il caso Mattarella e la mancata condanna dei Nar; la figura di Paolo Bellini; la figura di Contrada; la necessità di indagare nuovamente sull’omicidio di Nino Agostino, che era diventato “il testimone scomodo della contiguità di alti funzionari della polizia e dei servizi sicurezza con i mafiosi del mandamento di Resuttana, cioè quello di Nino Madonia, il suo killer.”
Ultimo livello investigativo “da sondare”, secondo il Gip, è quello relativo alla eventuale presenza, nella filiera stragista, “di un anello, di carattere politico, individuabile in un personaggio o in un partito politico che potrebbe aver concorso a definire la strategia della tensione. In breve, il Gip respinge la richiesta di archiviazione facendo riferimento a filoni d’indagine trattati anche nelle inchieste di Report degli ultimi anni.
Ci sarà ancora molto da ricostruire sulla storia recente. Ma per farlo e convincere i testimoni a confidarsi, va fermata la voglia di censura preventiva che cresce all’interno di alcune autorità inquirenti. Che invece di indagare e rendere pubblici i nomi di chi, anche tra i giornalisti, in tutti questi anni ha lavorato al depistaggio sistematico sui grandi misteri d’Italia, agiscono per intimidire cronisti coraggiosi e, soprattutto, le loro fonti.
Per uno che ha salvato i suoi archivi quante colleghe e quanti colleghi, nelle periferie oscurate del nostro paese, subiscono in silenzio?

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