Quello di Franco Serantini è un ricordo drammatico. Sono trascorsi, infatti, cinquant’anni da quel maledetto maggio del ’72, in una Pisa culla delle proteste studentesche che hanno caratterizzato il decennio che va dal ’67 al ’77 e particolarmente attiva alla vigilia di elezioni Politiche considerate importantissime. Si era chiusa pochi mesi prima, con un anbo di anticipo rispetto alla scadenza naturale, una legislatura tremenda, segnata dalla strage di piazza Fontana, dal tentato golpe Borghese e dall’inizio della Strategia della tensione, e in Calabria stava andando in scena l’orrore dei Moti di Reggio guidati da Ciccio Franco col supporto della destra missina, in un clima prossimo alla guerra civile.
Franco Serantini, studente cagliaritano di vent’anni, militante di Lotta Continua e vicino agli anarchici, venne arrestato e morì in carcere, in circostanze “misteriose”, alle 9,45 si domenica 7 maggio, lo stesso giorno del voto. Gli scontri pisani fra i partecipanti al presidio di LC e la Polizia su erano verificati il 5 maggio, a margine del comizio del missino Beppe Niccolai, in una fase storica travagliata e segnata da molteplici forme di violenza.
Per mesi la DC aveva tuonato contro gli “opposti estremismi” che, a suo dire, avrebbero messo a repentaglio la stabilità dell’Italia. Il PCI, dal canto suo, si presentava per la prima volta alle urne con il nuovo segretario Enrico Berlinguer, eletto in marzo a Milano mentre Giangiacomo Feltrinelli veniva ritrovato presso un traliccio dell’alta tensione in quel di Segrate. Il commissario Calabresi sarebbe stato assassinato dieci giorni dopo, giusto per far comprendere l’atmosfera in cui si svolse quella campagna elettorale.
Serantini, dal canto suo, era un sognatore pieno di utopie, forse un illuso, uno splendido figlio di un tempo nel quale si credeva ancora in qualcosa, uno sconfitto per definizione, anche per via di un’esistenza incredibilmente difficile, eppure, a mezzo secolo di distanza, non possiamo che voler bene a questa figura triste e meravigliosa della nostra vita pubblica. Vogliamo bene alla persona, vogliamo bene alle idee, vogliamo bene alla passione con cui le esprimeva e vogliamo bene al coraggio con cui si lanciò in prima linea, affrontando il martirio e subendo una pena esemplare e devastante.
Franco Serantini costituisce, dunque, l’emblema delle ragazze e dei ragazzi degli anni Settanta: ricchi di sogni, fragili, gentili, appassionati e un po’ folli, colmi d’incanto, di passione e di bellezza. È rimasto poco o nulla dello spirito di allora, ma Franco non possono portarcelo via: rimarrà per sempre nei nostri cuori e nella memoria di chi ha scelto, nonostante tutto, di non arrendersi.
P.S. Provo profondo dispiacere per la chiusura di Telejato, una delle emittenti più impegnati nella lotta contro la mafia e la sua barbarie. Esprimo a colleghe e colleghi stima, affetto e amicizia, con l’auspicio che possano continuare a svolgere in qualche modo il proprio preziosissimo lavoro.
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