Irlanda, 1981, carcere Maze. Bobby Sands era un dirigente dell’Ira, parlamentare del Sinn Fein. Contro le restrizioni ai detenuti politici volute dal Governo Thatcher cominciò uno sciopero della fame che dopo 66 giorni ne cagionò la morte.
I confronti con la storia sono sempre ostici, l’Irlanda non è l’Egitto, Margareth Thatcher non è al-Sisi e speriamo che Alaa Abd el-Fattah non sia Bobby Sands. Ma è pur vero che Alaa, come oramai l’intellettuale egiziano è universalmente conosciuto, da due mesi sta digiunando per migliorare le condizioni proibitive in cui è costretto in carcere. Per fare pressioni sulle autorità egiziane in Italia in molti si stanno mobilitando per far finire questa tortura che si accanisce contro Alaa e decine di migliaia di attivisti per la democrazia.
Perché questa mobilitazione? Non c’è una classifica dei regimi da criticare, ma sicuramente l’Egitto rappresenta un caso particolare, perché – semplificando un po’ – è il “gigante” del Medio Oriente ma anche perché quella “primavera” aveva raggiunto una consapevolezza politica di altissimo livello. In una parola: i dirigenti della rivolta anti-Mubarak e anti-al-Sisi erano intellettuali giovani, cosmopoliti, moderni. Che sono le caratteristiche che fanno più paura ai regimi obsoleti, nazionalisti, repressivi.
Nel libro uscito per Hopefulmonster “Non siete stati ancora sconfitti” quando Alaa ringrazia il gruppo progressista del Parlamento Europeo per averlo candidato al Premio Sacharov scrive che “la posizione di GUE/NGL contro le politiche neoliberiste e contro lo stravolgimento della democrazia europea sembrava concordare con le aspirazioni dei rivoluzionari perseguitati in Egitto e nel mondo arabo più in generale”.
Come si vede Alaa Abd el-Fattah rappresenta la mente di questa forma di opposizione democratica e non è un caso – come con Gramsci – le autorità egiziane abbiano deciso di “impedire a quel cervello di funzionare”, chiudendolo in una cella praticamente da 7 anni, senza possibilità di contatti esterni, di leggere un libro, di prendere un appunto. Il cervello di Alaa invece non ha mai smesso di funzionare, ma le condizioni in cui è costretto lo stanno distruggendo e per questo ha deciso, due mesi fa, di cominciare uno sciopero della fame. Qualche microscopica apertura l’ha ottenuta: ora può leggere un libro, per esempio. Pensate cosa vuol dire la prigione in Egitto: negato persino un libro o un foglio di carta per passare l’interminabile tempo di prigionia. Di fronte a questo cosa volete che sia una giornata di sciopero della fame.
L’idea del digiuno a staffetta per Alaa è stata lanciata da Riccardo Noury di Amnesty International e vi hanno già aderito il sottoscritto come direttore del Festival dei Diritti Umani, Antonella Napoli, direttore responsabile di Focus on Africa, le scrittrici e scrittori Marina Petrillo, Fabio Geda e Paola Caridi, il giornalista Farid Adly, i docenti Andrea Teti e Gennaro Gervasio, i deputati Erasmo Palazzotto e Lia Quartapelle, le attrici/attori Giuseppe Cederna e Carla Peiroleiro. Per aderire: info@invisblearabs.com
Il digiuno a staffetta per Alaa. Perché l’Egitto è un grande buco nero dei diritti umani