Chi voglia mandare un biglietto d’auguri è ancora in tempo e farà certamente cosa gradita. Perché Matteo Zuppi, sacerdote classe ’55, già parroco di Santa Maria in Trastevere, poi assurto con Sant’Egidio agli onori delle cronache per la pace mediata in Mozambico, sa bene che il nuovo incarico affidatogli è più difficile di quello brillantemente assolto tanti anni fa. Lui infatti deve provare a mettere in sintonia una Chiesa ancora clericale con la visione di Francesco, fatta di periferie, di ospedale da campo, di sindalità. E’ la Chiesa in uscita, quelle che deve testimoniare il Vangelo con il sorriso e l’affetto per l’uomo moderno in una società secolarizzata. L’uomo prescelto per questo lavoro non certo facile non ha solo il suo passato lontano, ha anche un passato recente, brillante: l’esperienza come vescovo ausiliare ausiliare a Roma, dove tanti lo ricordano ancora girare le strade del centro sempre in bicicletta. L’appellativo di “vescovo di strada” forse è nato allora, all’inizio dell’era di Francesco. Che poi lo ha fatto cardinale e arcivescovo di Bologna. Ma nella Capitale chi voglia sentir parlare di Zuppi come di un lord protettore deve andare allo Spin Time, la vecchia sede dell’Inpdap dove gli occupanti si autogestiscono da anni, tra palestre, sale dibattito, laboratori di tantissimi tipi, e un rapporto felice con il quartiere, altro che “conflitti sociali sul territorio”. E’ questa la sintonia di cui si diceva, che mira alla testimonianza come autentico sistema di evangelizzazione. Poi si vedrà.
Ora Matteo Zuppi ha il compito di realizzare quel “bel cambiamento” di cui ha parlato il papa che dalla Conferenza Episcopale Italiana non è ancora riuscito ad avere una sola risposta a quello che chiede. Voleva che come tutte le altre conferenze episcopali del mondo, anche quella italiana si scegliesse da sola il suo presidente: nulla da fare. Dopo un incredibile tira e molla ha ottenuto soltanto che loro votassero una terna, a scegliere il presidente però restava il papa. Poi avrebbe voluto una scelta sinodale per passare dall’idea di progetti culturali e valori non negoziabili al coinvolgimento diretto di tutti i battezzati. Era tanti anni fa quando lo disse ai vescovi riuniti a Firenze. Niente da fare. Solo in pochi echeggiarono quella richiesta caduta nel vuoto. Padre Bartolomeo Sorge, già direttore de La Civiltà cattolica, sull’importanza del sinodo per la Chiesa italiana ci spese i suoi ultimi anni, con importanti contributi pubblicati anche dalla rivista che aveva diretto, ma non riuscì a smuovere il silenzio di tanti. Ora, con il sinodo mondiale sulla sinodalità Francesco è riuscito a portare anche in Italia un barlume di sinodo, ma sebbene il cammino dovrebbe essere già a metà pochi lo sanno. Nel vecchio mondo l’idea sinodale, cioè il coinvolgimento dei battezzati, laici e laiche, ci fu solo per un momento, ai tempi di Paolo VI, poi sparì. La figura di transizione dal vecchio mondo episcopale italiano a quello di Zuppi, il parroco in bicicletta, a suo agio tra i senza tetto come tra i rom, è stato il presidente uscente, il cardinal Bassetti. Bassetti però lascia ancora tutti da scrivere i capitoli decisivi per rilanciare la Cei: il sinodo, imposto dal papa ma scansato dalle strutture, abituate più ai progetti culturali che ai processi ecclesiali, l’inchiesta sulla pedofilia, la valorizzazione delle donne e dei laici. Tutti fronti su cui se si è fatto qualcosa non si è fatto abbastanza.
Don Matteo Zuppi, mai dire monsignor Zuppi almeno parlando con lui, appare l’uomo giusto al posto bollente, dopo un apprendistato da tanti definito eccellente nel governo di una grande città come Bologna. Ma il boccino è nelle mani del papa: l’ex parroco di Santa Maria in Trastevere potrà scegliersi da solo, senza passare attraverso il Consiglio Permanente, il suo “sottosegretario alla presidenza del consiglio”, cioè l’uomo macchina, il segretario della Cei? Per fare quello che il papa ha chiamato un bel cambiamento questo passo sembra essere a molti quelli che serve da subito. Intanto la Chiesa italiana festeggia quel a tutti apparirà tanto nuovo quanto indiscutibile: ora la guida un prete “giovane” per certi parametri molto giovane. Non è cosa da sottovalutare, e probabilmente non è solo gioventù anagrafica.
Credits foto Ansa
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21