Quando si scrive il ricordo di una persona scomparsa, cui si è stati particolarmente legati, si rischia di sconfinare nel sentimento appena sorvegliato dalla retorica. Così, ecco che il necrologio assume di sovente una specifica forma espressiva, che fa buoni e cari tutti come talvolta non si pensava fintanto che erano in vita. Già, il cosiddetto coccodrillo.
Nel caso della vita prematuramente stroncata di Aldo Garzia, vale se mai il contrario. Nessun ricordo può dare l’esatta idea di ciò che è stato nella sua vita densissima un giornalista nato e attivissimo per anni nella temperie affascinante de il manifesto; e capace di inventarsi o dirigere testate come Pace e guerra, Aprile, Paneacqua, Palomar, Quaderni di Portovenere, Terzogiornale. Per non dire dei saggi scritti per Critica Marxista o dei libri sulle vicende del comunismo democratico; nonché su Cuba, Zapatero, Che Guevara, Olof Palme, Ingmar Bergman, Gino Paoli. Un elenco lungo, forse neppure noto a chi lo frequentava nelle canoniche riunioni di un cinquantennio.
Insomma, Aldo Garzia, fu protagonista insieme a Lucio Magri, Luciana Castellina, Rossana Rossanda, Lidia Menapace, Luigi Pintor, Valentino Parlato, Eliseo Milani, Filippo Maone, Massimo Serafini e Famiano Crucianelli (alcuni dei nomi, non certamente esaustivi) di una storia straordinaria. Si tratta di un capitolo enorme della vicenda del comunismo italiano, che vide raggrupparsi attorno ad una rivista negli anni sessanta del secolo passato un gruppo capace di guardare lontano e di analizzare senza preconcetti la realtà. E ora, nel fuoco orribile della guerra, dentro il quale sinistre e pacifismo sembrano incerti sul giudizio da dare sul grado di degenerazione autoritaria della Russia di Putin, proprio Garzia riannodò nei suoi articoli recenti o persino recentissimi un filo antico. Il manifesto fu radiato dal Pci in parte almeno per il giudizio netto che dava sul socialismo di stato divenuto regime dell’allora Unione Sovietica. Quanto fu lucida e prefigurante quell’analisi, capace di criticare tanto il capitalismo quanto le società post-rivoluzionarie con le loro classi dominanti efferate e burocratiche. Fino alla vergogna di oggi.
Aldo Garzia ci ha ricordato, per converso, la necessità di riscoprire la componente progressiva della socialdemocrazia europea, per imparare una lezione che sognava anche per l’Italia. Si doveva azzerare, amava ripetere con burbera dolcezza, il partito democratico nato male e pure ciò che sta alla sinistra-sinistra spesso dentro monadi non comunicanti: un unico nuovo partito riformista, in grado di rileggere il mondo e di comprendere i conflitti della post-modernità. Un progetto affascinante, un miraggio delizioso.
Quante discussioni, talvolta polemiche e severe, ma che belle discussioni.
Anche noi di Articolo21 non eravamo risparmiati: siete troppo conservatori, qualche volte sussurrava quando ci incrociavamo. Ce l’aveva con noi come schermo riflesso di ciò che riteneva andasse scosso dalle fondamenta: la Rai con i lasciti della lottizzazione, una categoria professionale vissuta come troppo sbilanciata verso chi è più garantito. Del resto, a Garzia non era mancata la durezza della vita da precario.
Si potrebbe sostenere, con molta amarezza, che Garzia è stato migliore del suo tempo. Meritava di essere maggiormente valorizzato, per le qualità politiche, culturali e morali non comuni.
Stava lavorando da ultimo al rilancio del sito dedicato a Lucio Magri, annunciato nel decennale della scomparsa del leader amatissimo in un seminario proprio da lui organizzato (insieme a Castellina, Crucianelli, Maone e Serafini) a Rimini lo scorso fine novembre. E stava ultimando una nuova raccolta di scritti, sempre sperando nella fantastica utopia: il nuovo comunismo, né sloganistico né nostalgico. Un’urgenza piuttosto per la salvezza del pianeta. Ne starà già parlando lassù con lo stesso Magri e con Pietro Ingrao: riferimenti di una vita resa bella dalla forza della passione.