Il primo giallo di Paolo Maggioni è scritto proprio com’è Paolo Maggioni: scoppiettante, pieno di amore per alcuni luoghi di Milano, voglioso di raccontare i fenomeni di una città che non smette di cambiare, attratto dai particolari.
“La calda estate del commissario Casablanca” descrive la rottura del noioso tran tran di un poliziotto rompiscatole, circondato da comprimari che faranno arrabbiare un po’ di politici, perché c’è il poliziotto G2 con occhi a mandorla (ma accento romano) e c’è quello sempre un passo indietro (ma solo per sovrappeso). Poi ci sono i cattivi: per esempio quello che spacca a sprangate le ossa di chi vuole fregarlo. Ci sono altri cattivi ma se ve lo scrivo vi rovino il finale.
Infine c’è un bel campionario di milanesità giovanile contemporanea: ragazzi con il nome strano, ragazzi che stanno da soli perché la mamma single deve lavorare, ragazzi che starebbero a loro agio anche a Scampia, ragazzi di periferia che si innamorano di ragazze che abitano in centro.
Chi conosce un po’ Milano ad ogni pagina si stupirà di individuare proprio quell’oste, quei palazzi, quel caldo appiccicoso dell’agosto meneghino. E magari si farà qualche domanda in più su cosa si nasconde dietro quella patina di smart city buona per i depliant delle immobiliari, un po’ meno per chi vive ai margini della città-vetrina.
Il libro di Paolo Maggioni ha il pregio di offrire con leggerezza un’interpretazione realistica di quel mondo di sopra e di quel mondo di sotto che ogni metropoli ha. Vallanzasca e la sua batteria della Comasina sono sotto terra o in pensione; non c’è la Banda della Magliana ammanicata con fascisti e 007 come a Roma; non c’è il controllo asfissiante ma impalpabile di Cosa Nostra come a Palermo. No, a Milano i soldi – e tanti – si fanno grazie alla collaborazione (non infiltrazione!) fra n’drangheta e colletti bianchi, per gli altri restano le briciole. Quelle briciole che per qualcuno significano vivere bene, sognare quell’ascensore sociale che nessuno è più in grado di garantire.