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Il pericolo della guerra totale

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Bucha non è Kiev e Odessa. Era un nome ignoto all’opinione pubblica mondiale. Adesso Bucha è un nome lugubremente noto e trasmette orrore. Nella cittadina a nord di Kiev riconquistata dall’esercito ucraino, dopo il “riposizionamento” delle truppe russe, è calata la distruzione.

Morti per le strade, civili uccisi, una o più fosse comuni piene di cadaveri, case sventrate. Lorenzo Cremonesi, l’inviato del ‘Corriere della Sera’, descrive un massacro in un suo articolo. Volodymyr Zelensky è sgomento: «Sì, questo è un genocidio». Secondo il presidente dell’Ucraina l’obiettivo è «l’eliminazione dell’intera nazione e del popolo ucraino».

Ursula von der Leyen denuncia «gli orrori indicibili nelle zone da cui la Russia si sta ritirando». La presidente della commissione europea propone di istituire «con urgenza una inchiesta indipendente» perché «gli autori di crimini di guerra saranno chiamati a rispondere». I governi europei e degli Stati Uniti hanno reazioni simili e condannano gli orrori commessi a Bucha. Si muove anche l’Onu. La sede delle Nazioni Unite di Ginevra fa sapere: i corpi scoperti a Bucha «sollevano serie domande su eventuali crimini di guerra».

Tuttavia Mosca smentisce tutto. Il ministero della Difesa russo definisce «un’altra provocazione» le fotografie e i filmati diffusi da Kiev. «Durante il periodo in cui Bucha era sotto il controllo delle forze armate russe, nessun residente locale -è la precisazione- ha subito azioni violente».

La guerra tra Russia e Ucraina è diventata a tutto campo: ci sono gli scontri militari e quelli propagandistici. Mosca nega di aver ucciso civili a Bucha, ma indubbiamente le bombe non hanno colpito solo gli obiettivi militari dopo l’invasione russa scattata il 24 febbraio. Aerei, missili e cannoni hanno devastato le città ucraine non risparmiando strutture civili come palazzi, ospedali e scuole. Mariupol, Kiev, Kharkiv, Chernihiv, Kherson, Melitopol e Odessa sono state colpite da una pioggia di bombe. Soprattutto Mariupol è una città devastata, rasa a zero ma ancora resiste.

Lo scontro è diventato anche politico e ideologico. Gli Stati Uniti e i paesi occidentali si sono schierati contro l’invasione russa, inviando armi a Kiev e decidendo sanzioni contro Mosca. Joe Biden ha usato parole pesantissime contro Vladimir Putin: è «un criminale di guerra», un «dittatore omicida», un «delinquente puro», un «macellaio». Per il presidente americano questa è anche una guerra tra democrazie e autocrazie.

Putin ha motivato «l’operazione militare speciale» in Ucraina con la necessità di evitare il genocidio degli abitanti russofoni e di scongiurare l’arrivo della Nato (alla quale Kiev voleva aderire) alla porta di casa. Il presidente russo ha giudicato le sanzioni occidentali come «una dichiarazione di guerra». Ha perfino messo in stato di «allerta speciale» le forze nucleari russe.

Fortunatamente finora è stato evitato l’incubo della catastrofe nucleare, la sciagura di una guerra a colpi di bombe atomiche. Biden ha evitato ogni rischio di possibile scontro tra truppe statunitensi o Nato contro le forze russe. Ha sollecitato le trattative di pace, premendo soprattutto su un intervento della Cina, grande alleata della Federazione Russa. Israele ha tentato una mediazione, come la Turchia. Negoziati diretti ci sono stati tra Ucraina e Russia: erano emerse anche possibilità d’intesa su un cessate il fuoco ma poi tutto si è fermato.

Il Cremlino tiene alti i toni dello scontro anche sul piano commerciale (in particolare sulle esportazioni di petrolio e gas in Occidente) ma non chiude la porta alle trattative. Dmitry Peskov auspica una bozza di accordo di pace con l’Ucraina. Dopo questo traguardo, precisa il portavoce di Putin, è anche «ipoteticamente possibile» un incontro tra il presidente russo e Zelensky, una richiesta inutilmente avanzata per settimane dal presidente ucraino.


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