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Il mistero della pace affiorata e scomparsa

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La guerra in Ucraina è in una fase decisiva. Putin vuole il Donbass e Mariupol. Ammassa truppe, vuole sfondare nel Donbass ed espugnare definitivamente Mariupol. Il “nobile obiettivo” annunciato è di conquistare le zone russofone dell’Ucraina.

Il presidente russo non lascia spazio alle trattative di pace. Usa toni duri contro Zelenski, usa perfino la parola genocidio. Lo ‘zar’ ha accusato: l’”operazione militare speciale” è scattata perché «era impossibile continuare a sopportare questo genocidio nel Donbass, che dura ormai da otto anni».

Anche Biden è andato giù pesantissimo. Per la prima volta ha usato il termine genocidio verso Putin. Ha detto agli americani: la possibilità di riempire di benzina il serbatoio dell’auto non dovrebbe dipendere «dal fatto che un dittatore dichiari guerra e commetta un genocidio a mezzo mondo di distanza». La parola genocidio è talmente dirompente che sia Emmanuel Macron sia la Cina hanno preso le distanze. Anche il presidente statunitense sembra chiudere la strada ad ogni possibile negoziato. Già nelle ultime settimane aveva usato l’accetta con Putin definendolo “criminale di guerra” e “macellaio”.

Eppure il 16 marzo era balenata una possibilità di pace. Perfino tutte le Borse internazionali avevano brindato con vistosi rialzi all’ipotesi di una cessazione delle ostilità. Il ‘Financial Times’ aveva parlato di una bozza di accordo in 15 punti tra Kiev e Mosca. Il cuore della bozza d’intesa era la rinuncia da parte dell’Ucraina alla Nato e la promessa di non ospitare basi militari straniere o armi in cambio di un sistema di sicurezza garantito da paesi chiave (in testa Stati Uniti, Regno Unito e Turchia). Il quotidiano britannico però aggiungeva: le garanzie occidentali per la sicurezza ucraina potrebbero rivelarsi un «grande ostacolo ad ogni accordo, così come i territori» conquistati dalla Federazione Russa nel 2014.

Qualcosa, però, è andato storto. Non si sa cosa, ma qualcosa è andato storto. È un mistero. Dopo il 16 marzo è svanita ogni traccia della bozza di accordo. Anzi, la guerra è diventata sempre più feroce. Gli aerei, i missili e l’artiglieria delle forze russe hanno colpito anche le case, gli ospedali, le scuole oltre agli obiettivi militari. Mariupol è stata rasa al suolo e ridotta a un cumulo di macerie. Nell’importante città portuale devastata è entrato l’esercito russo dopo sparatorie casa per casa. Notizie orribili sono piovute dopo il ritiro delle truppe russe dal nord dell’Ucraina. A Bucha e in altre cittadine sono state scoperte delle fosse comuni piene di cadaveri di civili. Nella stazione ferroviaria di Kramatorsk uno o due missili hanno fatto strage di civili in fuga dalla guerra. Kiev ha accusato di questi crimini Mosca che, però, ha smentito ogni responsabilità.

Un fatto è sicuro. L’esercito ucraino ha resistito all’invasione della superpotenza euroasiatica nel nord del paese e ora il Cremlino concentra tutti gli sforzi sul Donbass. Ogni possibilità di trattativa sembra impantanata proprio nei giorni di Pasqua, la festa per antonomasia della pace, la festa in ricordo della resurrezione di Gesù Cristo.

A molti soldati russi gli ufficiali hanno comunicato la fine della guerra per il 9 maggio. Avrebbe una logica. Il 9 maggio la Russia ogni anno festeggia la vittoria sulla Germania nazista nel 1945. Putin vorrebbe festeggiare anche il prossimo 9 maggio con la tradizionale parata militare a Mosca. Ma lo “zar” per festeggiare ha bisogno di una vittoria in Ucraina: la conquista di Mariupol e del Donbass potrebbero essere le carte da giocare di fronte al patriottismo russo.


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