Stop al carbone. Il quinto pacchetto di sanzioni europee contro la Russia prevede altre severe misure: c’è, in particolare, l’embargo alle importazioni di carbone. Ma non è finita.
Sul tavolo dell’Unione Europea c’è anche il possibile stop alle importazioni di gas e petrolio come mezzi per porre fine alla guerra in Ucraina. L’Europarlamento ha deliberato lo stop anche agli acquisti di greggio e metano da Mosca. La commissaria europea Ursula von der Leyen la pensa nello stesso modo. È andata a Kiev, ha sottolineato la necessità di sanzioni e ha spalancato la porta della Ue: l’Ucraina ha «un futuro europeo». Adesso la palla passa ai governi, il consiglio europeo dovrà dire sì o no anche al blocco del greggio e del metano.
La Federazione Russa è un grande produttore ed esportatore di carbone, petrolio e gas. I massicci ricavi delle vendite servono anche per finanziare l’attacco all’Ucraina. L’Italia ha approvato l’alt agli acquisti di carbone ma per il gas e il petrolio la faccenda è molto più complicata. Mario Draghi ha annunciato che il nostro paese è pronto a fare la sua parte, precisando: «Oggi l’embargo del gas non è sul tavolo, non so se lo sarà domani». Il presidente del Consiglio si è lasciato sfuggire una battuta sui sacrifici da fare: la scelta è tra la pace o l’uso «dell’aria condizionata in estate».
L’estremizzazione non dà un quadro giusto del problema. L’Italia è quasi del tutto dipendente dall’estero per il petrolio e, soprattutto, per il metano (può contare solo su piccole produzioni di gas, di solare, eolico e idroelettrico). È una nazione industriale (la seconda d’Europa dopo la Germania) che divora grandi quantità di energia. Già sconta fortissimi problemi per l’enorme aumento dei prezzi del gas e del petrolio causati dall’invasione russa dell’Ucraina. Molte aziende hanno già dovuto chiudere i battenti non potendo sostenere i salatissimi rincari del gas. In futuro potrebbe andare anche peggio se arrivasse lo stop al gas russo dal quale dipendiamo per quasi il 40% dei nostri consumi. C’è il rischio di una doppia destabilizzazione: economica e sociale con una disoccupazione di massa.
Draghi ha avviato un processo di diversificazione dei rifornimenti energetici, soprattutto di gas. Il governo si rivolge ad Algeria, Libia, Egitto, Azerbaigian, Israele, Angola, Mozambico, Qatar, Usa. Ma ci vorranno almeno 1-2 anni per sostituire le importazioni dalla Russia. La Germania ha problemi analoghi all’Italia, non a caso il cancelliere Scholz è contrario all’embargo del metano. Invece gli Usa e alcuni paesi europei (come il Regno Unito e la Norvegia) hanno praticamente il vantaggio di autosufficienza energetica o di una scarsa dipendenza da Mosca (come la Francia).
Comunque tutto l’Occidente deve fare i conti da subito con i prezzi stratosferici dell’energia che ha fatto partire una forte inflazione, il primo nemico del potere d’acquisto di salari e pensioni. Draghi si batte per stabilire un tetto comune europeo ai prezzi del gas. Se il costo massimo fosse concordato i prezzi calerebbero per il maggiore potere contrattuale delle nazioni europee unite su una sola posizione. La proposta del presidente del Consiglio è stata però stoppata nel consiglio straordinario europeo di marzo. Il progetto tornerà sul tavolo del prossimo vertice straordinario dei 27 governi della Ue fissato alla fine di maggio. Per ora sono sempre aperti i contrasti tra paesi favorevoli del Sud e quelli contrari del Nord. È del tutto aperta la complicata partita.