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Guerra in Ucraina, l’importanza del ruolo dell’informazione

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Quaranta giorni di guerra, città rase al suolo, numeri imprecisi ma impressionanti di vittime, e una società civile dilaniata dal peso fisico e psicologico di un equilibrio precario e in bilico da anni. Ma in questa parentesi di storia siamo tutti testimoni anche del processo di dissacrazione dei mezzi di informazione, così come della centralità dell’elemento comunicativo nel conflitto. Putin ha plasmato la sua immagine sulla figura di un guerriero intenzionato a proteggere l’impero, mentre Zelensky ha empatizzato con le masse occidentali riproponendo l’archetipo del leader giovane e icona della battaglia. Tra i due poli, l’imbavagliamento del flusso comunicativo sul fronte russo è diventato causa di un’insanabile rottura tra i due popoli. A Mosca sono state bloccate oltre 30 redazioni indipendenti, e il meccanismo di censura è stato implementato non solo dalla legge sulle fake news – che prevede fino a 15 anni di detenzione per chi definisce l’operazione in Russia “una guerra” o “un’invasione” – ma anche da un irrigidimento sociale probabilmente senza precedenti. Le edicole si rifiutano infatti di rivendere giornali di testate indipendenti, perché timorosi di rappresaglie, e le proteste perdono di incisività in quanto la maggior parte dei manifestanti è già schedata dalla polizia. Anche il più importante quotidiano indipendente Novaya Gazeta è stato chiuso, e molti giornalisti proseguono il proprio lavoro all’estero.

Ma la cortina di ferro presente tra i due blocchi è impermeabile e non consente di raggiungere i cittadini assuefatti dalla propaganda, che costituiscono una parte considerevole della fonte di legittimazione dell’operato di Putin. Per tentare un canale di comunicazione con i Russi, il gruppo hacker polacco Squad 303 ha lanciato il sito web 1920.in che consente di inviare messaggi e mail agli utenti in Russia con un database di 20 milioni di numeri telefonici e circa 130 milioni di indirizzi email. Le reazioni degli interlocutori russi, nelle volte in cui riescono ad essere raggiunti, non sono sempre favorevoli e molti forniscono argomentazioni riguardo al loro reale appoggio a Putin. In Russia solo chi riesce ad ottenere un vpn può accedere all’ informazione alternativa. I media di carattere maggiormente filogovernativo sono le televisioni – mezzo che ancora raggiunge il più ampio numero di persone di fascia d’età funzionale alla strategia del Cremlino – alle quali non è concesso utilizzare termini come “guerra”, “aggressione” e “invasione”. Inoltre, nei talk show trasmessi – gli stessi in cui è stata da tempo vietata la presenza degli oppositori politici, come Navalnyj – vengono utilizzati aggettivi e concetti di un elevato livello di violenza verbale nei confronti dell’Occidente. Inoltre, il sistema di disinformazione russo è già attivo da tempo e organizzato per la diffusione del “deep fake”, prodotto da professionisti strapagati esperti del web che creano fotomotaggi, video non reali, e discussioni tra utenti in specifici blog e su argomenti mirati, fungendo da cassa di risonanza della retorica Putiniana. La sociologia insegna che i mezzi di informazione formano l’opinione pubblica, e questa acquisisce un’identità e delle dinamiche relazionali a sé stanti. E’ dunque opportuno considerare a fondo anche questo aspetto della guerra, che sta delineando una frattura sociale irreversibile. Dall’Ucraina veniamo informati di rapporti interrotti con familiari in Russia, considerati “avvelenati dalla propaganda”, ma anche colpevoli di essere complici di “assassini senza morale” e di non aver mai inciso significativamente nel contrasto alle politiche di aggressione perpetrate dalla Russia in questi anni.


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