BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Dagli spalti del dolore alla gioia di vivere. Donatella Finocchiaro vibrante Goliarda Sapienza in palco

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A mezzogiorno in punto, ogni giorno, il dott. Ignazio Majore, rinomato freudiano convocato da Citto Maselli, compagno di Goliarda, costretta suo malgrado a un percorso terapeutico, solca la soglia della camera in cui la sua paziente, reduce da ripetuti elettroshock subiti in manicomio a seguito di un tentativo di suicidio, nonostante le resistenze e le difficoltà iniziali recupererà la memoria e la dignità della sua identità in sconvolgenti sedute psicoanalitiche che condurranno entrambi a una radicale mise en question della loro esistenza.

Il filo di mezzogiorno già scottante romanzo autobiografico pubblicato nel 1969 di Goliarda Sapienza, scrittrice siciliana incredibilmente ignorata in vita, scoperta dalla critica post mortem, ora è opera teatrale, adattata per il palco con acume da Ippolita di Majo, incarnata da Donatella Finocchiaro in stato di grazia, diretta con perizia da Mario Martone, un regista cinematografico che ha mantenuto felicemente nella trasposizione teatrale il taglio filmico.

L’interessante sdoppiamento del palco in due ambienti speculari mobili – e quindi l’uso di prospettive diverse – su cui scorrono in primo piano il racconto di Goliarda, e in secondo piano le sedute analitiche, scomposte in 20 quadri in successione, originariamente 42, rende viva e palpitante la lucida e poetica, a tratti ironica, narrazione di un rapporto terapeutico che è lavacro e rinascita per lei, profonda crisi fino all’abbandono della pratica analitica per lo psicanalista, in un imbarazzante rovesciamento di ruoli che spiazza e disorienta lui e gli spettatori, ma non Goliarda, che fin dal primo incontro si mostra decisa a difendere la sua libertà, il suo diritto ad essere ciò che è, a sentire ciò che sente, senza filtri e senza mezze misure, fino a confessare schiettamente il suo innamoramento per il dottore che rimarrà inesorabilmente turbato dalla sua affascinante personalità intrisa di dolore e gioia di vivere, un travolgente mix che finirà per condurlo all’abbandono della terapia con Goliarda e a sospendere la sua attività. Goliarda ne soffrirà. Ancora un abbandono nella sua vita. I fantasmi del passato affiorati durante le sedute, la madre sindacalista torinese, folle e suicida, il padre avvocato catanese, donnaiolo impenitente perseguitato dai fascisti per le sue idee, la sorellastra Nica, il fratello Goliardo ucciso prima che lei nascesse e di cui porta il pesante nome, i fratellastri morti precocemente, le amiche, gli amori difficili, volteggiano insieme – i vivi e i morti – sul suo capo, nella sua mente senza tempo, le ferite si riaprono nella sua storia lentamente ricomposta: la vita a Catania dove era nata in piena era fascista, l’Accademia d’Arte drammatica a Roma, le prime apparizioni nel mondo dello spettacolo, la complessità dei rapporti familiari, sentimentali, la depressione strisciante che la portò più volte a tentativi di suicidio.

L’intrigante duello tra i due contendenti è un vero e proprio corpo a corpo che fece scalpore quando il libro venne pubblicato. In questa pièce la rivelazione del rapporto, fino alle sue pieghe più nascoste, diventa il sentito omaggio alla personalità non comune di questa scrittrice, alla sua forza e alla sua sensibilità, che si avvertono sin dalla prima scena in cui Donatella – Goliarda si propone con toccante sincerità di accenti nella sua fragile umanità, stretta tra gli echi di una follia temuta e una morte cercata, in preda allo smarrimento e alla paura, eterea e appassionata. Protagonista nella sua forte e seducente personalità, Goliarda, che la Finocchiaro riesce a rendere pienamente nella sua vibrante essenza, è ben affiancata e sostenuta dalla pacata e corposa interpretazione dello psicanalista di Roberto De Francesco, convincente nel suo tentativo di autorevolezza e onnipotenza “Io solo posso guarirla…”, sempre più sovrastato dal cervello scoppiettante della sua paziente che si rivelerà giorno dopo giorno dominante in una relazione d’aiuto che ancora risente della sua giovane esistenza. Siamo agli albori della pratica psicoanalitica, schiacciata in Italia dall’ottusità fascista, che mostra in questo diario la sua potenza ma anche la sua vulnerabilità. Come non pensare in tal senso all’ironia sferzante de “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo?

Il filo della memoria diviene così il filo di una lieve speranza che sarà poi tradotto nell’esplosivo capolavoro L’arte della gioia, romanzo pubblicato postumo dal marito Angelo Pellegrino, a cui Goliarda consegnava la sua ars costruendi, sul filo di una scrittura disinibita, originale, dove la proiezione fantastica si confonde con un tessuto reale, dove albergano e convivono laceranti incoerenze e contraddizioni, scoprendone la valenza terapeutica, che scioglie e sublima i nodi del passato, ma finirà per non sostenere concretamente un presente fitto di tentativi di vita in cui le crepe condurranno questa donna dotata di forte senso critico, partigiana, femminista, anticonformista in toto, ai margini di una società perbenista che denuncia e addita instancabilmente, invitando al desiderio di autenticità.

“Non cercate di spiegarvi la mia morte…ma pensate dentro voi stessi: è morta perché ha vissuto” (da Il filo di mezzogiorno)

IL FILO DI MEZZOGIORNO 

di Goliarda Sapienza
adattamento Ippolita di Majo
regia Mario Martone
con Donatella FinocchiaroRoberto De Francesco
scene Carmine Guarino
costumi Ortensia De Francesco
luci Cesare Accetta
aiuto regia Ippolita di Majo
produzione Teatro di Napoli – Teatro NazionaleTeatro Stabile di CataniaTeatro Stabile di Torino – Teatro NazionaleTeatro di Roma – Teatro Nazionale

Al Teatro Verga di Catania fino a Domenica 24 Aprile

Dagli spalti del dolore alla gioia di vivere. Donatella Finocchiaro vibrante Goliarda Sapienza in palco


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