Lo scorso lunedì 11 aprile si è tenuta presso la sala Zuccari del Senato la relazione annuale dell’Auditel per il 2022, a cura del suo presidente Andrea Imperiali. Si tratta della società (privata, cui compartecipano gli apparati televisivi da Rai e Mediaset in poi) che elabora i dati di ascolto dei programmi. Sono intervenuti il sottosegretario con delega all’editoria e all’informazione Giuseppe Moles, gli omologhi del ministero dello sviluppo Anna Ascani e delle finanze Federico Freni, i presidenti della commissione parlamentare di vigilanza e dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni Alberto Barachini e Giacomo Lasorella. Domande a cura del moderatore De Paolini.
Ma un quesito sorge spontaneo: perché mai l’iniziativa si tiene presso il parlamento? L’Auditel ha raggiunto, con rispetto parlando, il rango di un’autorità espressa dalle Camere? Curiosità banale, ma non troppo. Non dimentichiamo che la vicenda della valutazione delle audience fu oggetto in passato di polemiche piuttosto forti. In altri paesi vi sono ricerche di mercato in concorrenza, mentre in Italia l’originaria logica del duopolio favorì una scelta di sapore corporativo: controllati e controllori venivano a coincidere. Si suggerì nel corso del dibattito sulla legge n.249 del 1997, che provò a regolare il sistema, di costruire un’entità pubblica indipendente estranea ai competitori. Si levarono urla e strepiti.
In verità, molta acqua è passata da allora. La campionatura è cresciuta in modo significativo e l’Agcom ha emanato indirizzi volti a rendere più puntuali i metodi di indagine. Tuttavia, il peccato originale rimane. Le proposte contenute nel documento presentato sono interessanti. A fronte di un mutamento profondo della morfologia dell’universo comunicativo, con operazioni enormi di intrecci e concentrazioni nel
villaggio globale e con l’entrata in scena degli oligarchi della rete, il vecchio schermo domestico è solo una componente della fruizione dei
messaggi. Intanto, va ricordato come dopo la fase acuta del Covid i numeri si siano abbassati sì e no ai livelli del 2019. Vero è che con la
tragedia della guerra le soglie si sono nuovamente alzate. Tuttavia, il panorama è in fase di accelerata (e inedita) trasformazione.
Se sono 45 milioni gli apparecchi televisivi classici distribuiti nei luoghi usuali del consumo, ben 75 ml sono i nuovi schermi connessi. Insomma, sempre più si fruisce con device plurali e distribuiti dalla e nella rete. A proposito, proprio simili chiarissime cifre ci interrogano sull’utilità dell’attuale ricambio forzoso degli apparecchi, per giovarsi di tecniche che hanno – per essere ottimisti- un decennio di vita.
Davanti alla diversificazione delle forme di approccio ai programmi, l’Auditel compie un passo importante. Si va verso la cosiddetta Total
Audience, ovvero una misurazione dell’ascolto che scaturisce dall’insieme delle piattaforme. Anzi, vi è il tentativo di registrare pure le entità che non si sono rese identificabili: i soggetti non riconosciuti, come ad esempio le attività di gioco o di videocomunicazione.
Non solo. L’altra faccia della rilevazione, che costituisce la base dell’economia politica del comparto condizionando il costo per contatto
delle inserzioni pubblicitarie, è il tracciamento nei flussi digitali degli spot.
Dovunque gli agognati consigli per gli acquisti vengano fatti transitare, il dio pagano li vede e li calcola.
Un simile materiale analitico migliora indubbiamente la situazione, che così ci appare con elevata precisione. Ci sono tante più cose tra noi e il palinsesto di quanto si immagini, dunque. Sovviene, però, un dubbio. Ma non sarà che tabulati così accurati, in grado di agguantare persino i fruitori inconsapevoli, saranno come la tavola imbandita per le gozzoviglie degli Over The Top? Se l’antagonista è la cruda presa egemonica dei vari Google, Facebook, Apple, Amazon, Netflix e simili – i potenziali becchini dell’ordine televisivo costituito- la profilazione delle persone non è un favore colossale per gli odierni conquistatori? Oltre all’immaginario, cediamo il cibo prelibato delle nostre identità?