Il film Ariaferma del regista e sceneggiatore Leonardo Di Costanzo è candidato al Premio David di Donatello, il premio cinematografico italiano che verrà assegnato il 3 maggio prossimo dagli studi di Cinecittà a Roma. È in gara come miglior film e miglior regia, come miglior attore protagonista (Silvio Orlando), miglior attore non protagonista (Fabrizio Ferracane), miglior sceneggiatura originale (Leonardo di Costanzo, Bruno Oliviero, Valia Santella), miglior produttore, miglior fotografia, miglior compositore (Pasquale Scialò), miglior scenografia, miglior montaggio, miglior suono. Undici in totale.
La sinossi del film Ariaferma diretto da Leonardo Costanzo racconta di «un vecchio carcere ottocentesco, situato in una zona impervia e imprecisata del territorio italiano, è in dismissione. Per problemi burocratici i trasferimenti si bloccano e una dozzina di detenuti rimane, con pochi agenti, in attesa di nuove destinazioni. In un’atmosfera sospesa, le regole di separazione si allentano e tra gli uomini rimasti si intravedono nuove forme di relazioni». Il regista Leonardo Costanzo spiega cosa è accaduto durante la preparazione del film: «Il carcere di Mortana nella realtà non esiste: è un luogo immaginario, costruito dopo aver visitato molte carceri. Quasi ovunque abbiamo trovato grande disponibilità a parlare, a raccontarsi; è capitato che gli incontri coinvolgessero insieme agenti, direzione e qualche detenuto. Allora era facile che si creasse uno strano clima di convivialità, facevano quasi a gara nel raccontare storie. Si rideva anche. Poi, quando il convivio finiva, tutti rientravano nei loro ruoli e gli uomini in divisa, chiavi in mano, riaccompagnavano nelle celle gli altri, i detenuti. Di fronte a questo drastico ritorno alla realtà, noi esterni avvertivamo spaesamento. E proprio questo senso di spaesamento ha guidato la realizzazione del film: Ariaferma non racconta le condizioni delle carceri italiane. È forse un film sull’assurdità del carcere».
Possono cambiare le relazioni tra detenuti e i poliziotti penitenziari se si verificano delle condizioni tali da modificare la distanza che separa i primi dai secondi? Ariaferma presentato fuori concorso alla 78° esima edizione della Biennale Cinema di Venezia, se ne fa carico e cerca di dimostrarlo. Nel corso della puntata di “Che tempo che fa” intervistati da Fabio Fazio, Toni Servillo e Silvio Orlando che interpretano rispettivamente il ruolo di ispettore della polizia penitenziaria e quello di detenuto, testimoniano il valore del film, reduci pochi minuti prima dalla proiezione del film nel carcere di Bollate a Milano. Toni Servillo: «Un detenuto, dopo aver assistito alla proiezione, ha usato più volte la parola “fiducia” e Ariaferma racconta che, attraverso un piccolo gesto, si comprende la fiducia e si può rompere una catena di vendetta e di violenza, che altrimenti si perpetua all’infinito e non intende il carcere come una possibilità di recupero di una vita. Non guarda a un uomo che sta scontando la sua pena come qualcuno che possa avere altre possibilità, altre potenzialità, altri talenti. Quando l’istituzione si allontana, chi vive in luogo di sofferenza come il carcere, si ritrova a viverla insieme e fa compiere dei gesti dove la fiducia reciproca cresce un po’ alla volta. Un agente di polizia penitenziaria che ci accompagnava in carcere ci ha detto che la fiducia reciproca fa stare meglio loro e fa stare meglio i detenuti».
Durante la trasmissione “Che tempo che fa” è intervenuto anche lo scrittore Roberto Saviano: «Il film ha il pregio di raccontare il problema carcerario che è gigantesco, anticipando i tempi per quello che poi è accaduto durante il Covid in assenza di tutto ciò che è umano in carcere: la condivisione della precarietà tra agenti e detenuti. Più si verifica una condizione di angoscia e di disagio tra i detenuti e più le organizzazioni criminali diventano potenti. Le persone pensano che più le condizioni detentive sono punitive, meno verranno commessi nuovi reati. Purtroppo accade il contrario e un carcere costruito così è un carcere dove comanda il crimine. Là dove non c’è il diritto, il detenuto si rivolge ad un capozona. Lo spazio del carcere deve interrompere la condizione dell’uomo di commettere un crimine e intraprendere un percorso di riforma. La misura della democrazia è dentro il carcere ed è qui che si può osservare» Ariaferma ha il merito di raccontare la vita in carcere senza ricorrere a facili espedienti narrativi a cui siamo abituati. Il film è un’incursione nel profondo del genere umano diviso tra “buoni” e “cattivi” la cui sorte per condizioni di vita tende ad accomunare e non a dividere. Un avvicinamento progressivo e inarrestabile per sondare i sentimenti che appartengono a chiunque senza distinzioni di nessun genere. Anche tra il personale di polizia penitenziaria e i detenuti. Azioni capaci di modificare il pensiero di chi ha la responsabilità di custodire i detenuti, spesso in situazioni di privazione dei più fondamentali diritti della persona.
La sceneggiatura e la regia descrive con molta efficacia la realtà sociale del carcere, senza mai cadere nel rischio di enfatizzarla in negativo o scadere in luoghi comuni e dettati da un pensiero che ritiene il detenuto una persona pericolosa e a cui solo il carcere impedirà di commettere altri reati, anche quando esca avendo scontata la pena. Uomini e donne incapaci di integrarsi nella società civile e di rispettare ogni regola. Ariaferma racconta il tempo sospeso vissuto dai detenuti a causa di una condizione temporale e psicologica minata dall’incertezza e dalla mancanza di prospettive. Un tempo che sembra non trascorrere mai. Non a caso il regista chiarisce che non «è un film sulle condizioni delle carceri italiane. È forse un film sull’assurdità del carcere». Con l’emergenza causata dal Covid-19 ogni attività trattamentale con l’ausilio di professionalità educative si è interrotta, privando di fatto la possibilità di seguire corsi di formazione, studio e attività rieducative. I contatti con l’esterno sono stati interrotti e impedite le visite dei familiari.
In Ariaferma viene descritta la condizione di isolamento subita e le conseguenze che ne derivano, risolte in modo positivo scegliendo di includere e non di dividere. Il carcere di Bollate a Milano è d’esempio per essere un istituto a custodia attenuata in grado di fornire un vasto programma di attività trattamentale, tra cui quella del teatro, e far sì che i detenuti perseguano processi di autoresponsabilizzazione, la messa in prova mediante permessi e la possibilità di lavorare all’esterno.
Tratto dalla tesi
Il teatro dentro le mura: un varco verso una società inclusiva
Università degli Studi di Padova Corso di Alta Formazione
Dipartimento di Filosofia, pedagogia e psicologia applicata (FISPPA)
“La passione per la verità. Come informare promuovendo una società inclusiva”. Anno accademico 2020/21
Ariaferma – Trailer Ufficiale – Bing video