Non hanno nemmeno fatto in tempo ad arrivare in Italia da profughi della guerra in Ucraina e già sono diventati “schiavi” dentro un capannone con porte e finestre chiuse per farlo sembrare abbandonato. Ma dove, in realtà, si producevano sigarette per il mercato di contrabbando. Tutto di questa storia avvenuta a Pomezia, alle porte di Roma, riporta indietro di quasi 100 anni, quando c’era un mercato illegale del tabacco e i diritti dei lavoratori non esistevano. L’Italia degli Anni 30 piazzata nel bel mezzo di aprile 2022 al lato della Pontina, dove di capannoni se contano a decine e ogni tanto qualcuno di essi prende fuoco e si scopre che era un deposito illecito di rifiuti e inquina una bella fetta di regione Lazio ma poi tutto passa e viene dimenticato. Fin quando, una mattina di primavera,, gli uomini della Guardia di Finanza piombano in un opificio clandestino e scoprono dieci operai, russi, moldavi, ucraini (questi ultimi profughi di guerra) che erano “sottoposti a turni di lavoro massacranti”, costretti a lavorare “in un ambiente malsano con finestre murate e mancanza di sbocchi all’esterno per i fumi di lavorazione”. La fabbrica era attrezzata con tutti i macchinari e i materiali necessari alla produzione di sigarette di contrabbando contraffatte: 44 tonnellate erano già state confezionate e c’erano altre 38 tonnellate di tabacco estero lavorato. Secondo quanto riportato negli atti d’inchiesta, si tratta del “più ingente quantitativo di generi di contrabbando sequestrati negli ultimi anni sul territorio nazionale”. L’immissione in commercio del prodotto sequestrato (un totale di 82 tonnellate) avrebbe comportato un’evasione d’imposta di oltre 19 milioni di euro. Il titolare dell’impresa è stato arrestato e gli operai profughi saranno ospitati dalle amministrazioni comunali del comprensorio. Per tutto il resto è una vicenda che riporta allo sfruttamento dell’era della prima industrializzazione in Europa.