Il 15 marzo di unirci anni fa, in Siria, iniziava un sanguinoso conflitto che ha causato una delle più grandi catastrofi umanitarie di tutti i tempi.
Una guerra che, a sole tre ore di volo dall’Italia, ha ucciso oltre 500mila persone, ha costretto 10 milioni di siriani su 20 (metà della popolazione) ad abbandonare le proprie case fuggendo all’estero, e ha devastato città e zone rurali di un Paese ridotto allo stremo e che difficilmente riuscirà a rialzarsi, soprattutto per il proliferare di radicalismi di ogni genere.
Chi è rimasto, o semplicemente non ha avuto la possibilità di fuggire, fa fatica ad andare avanti.
La lira siriana si è progressivamente svalutata e le risorse economiche sono pressoché inesistenti.
Dal 15 marzo del 2011 ad oggi la Siria è stata dolorosamente lacerata al suo interno, divisa in zone di influenza da attori stranieri che da anni si contendono le risorse energetiche e territoriali di una terra millenaria, crocevia tra Asia, Africa ed Europa, e culla ancestrale della civiltà.
Per anni punto di equilibrio di un instabile Medio Oriente, Damasco oltre che dal conflitto è tormentata dalla peggiore crisi economica e finanziaria dall’inizio del secolo di tutta la regione, peggiorata con la pandemia di Covid 19.
Da quando nel marzo del 2011 i siriani sono scesi la prima volta in piazza a Daraa, nel sud del Paese, per un’inaspettata protesta contro Bashar al-Assad, è stato un crescendo di repressioni e violenze.
Man mano che le manifestazioni si allargavano alle altre grandi città, la risposta violenta del governo ampliava il suo raggio di azione.
La “rivoluzione” è così trascesa in un lungo e sanguinoso conflitto, trasformando la Siria in un campo di battaglia con un’infinità di attori coinvolti.
Un decennio dopo, la soluzione e la fine delle ostilità appaiono ancora lontane mentre si aggrava la crisi economica, si consuma una catastrofe umanitaria devastante, con le vite e il futuro di una generazione di bambini senza prospettive.
Secondo l’Unicef, il 90% dei minori siriani ha bisogno di assistenza umanitaria.
Dal 2011 al 2020 più di 5.700 bambini, alcuni anche di 7 anni, sono stati reclutati nei combattimenti, 1.300 strutture sanitarie e scolastiche, con il relativo personale, sono state attaccate dalle parti in conflitto, e oltre 12mila minori sono stati uccisi o feriti.
Vittime innocenti come Sahar, che aveva appena un mese, o Yassin nato da quindici giorni, e Ahmed, che non ha mai visto la luce morendo nel grembo della madre che non mangiava da 5 giorni.
Queste tre piccole vite sono solo le ultime strappate ai propri cari
Un’intera generazione che potrebbe non crescere mai a causa della crisi umanitaria che uccide di fame e di stenti a cui è sottoposta la maggior parte della popolazione dei villaggi e delle città sotto assedio.
Milioni di persone su cui i media mainstream hanno spento i riflettori, oggi proiettati ampiamente sulla guerra tra Russia e Ucraina.
I volti, le storie strazianti, come quella di Aylan Kurdi, il bimbo siriano annegato nel 2015 al largo delle coste turche e arenatosi su una spiaggia di Bodrum, che hanno fatto il giro del web, sono ormai un ricordo sbiadito.
Nonostante la caduta dell’Isis nella roccaforte di Raqqa, e i successi militari che hanno ridotto al minimo la presenza e la forza del gruppi ribelli antigovernativi, la crisi nel paese resta drammatica.
La situazione umanitaria per i siriani, in particolare quelli rimasti nel paese, non potrebbe essere più drammatica, ha avvertito un recente rapporto alle Nazioni Unite.
Lunedì scorso, mentre l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria sollecitava una soluzione politica al conflitto, compreso l’impegno con il governo siriano di Bashar al-Assad, l’ala politica delle Forze democratiche siriane (SDF) in Rojava ha chiesto un maggiore sostegno internazionale nell’amministrazione autonoma del Nord e della Siria orientale, definendolo “l’unico modo per salvare il paese e ottenere sicurezza e stabilità nella regione”.
Insomma, una soluzione politica al conflitto resta lontana.
Secondo l’UNHCR, 6,6 milioni di siriani sono rifugiati; principalmente nei paesi vicini, inclusa la regione del Kurdistan dell’Iraq.
Per coloro che rimangono nel Paese, il tasso di povertà è del 90%, dato senza precedenti, e oltre 14 milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari, secondo un rapporto pubblicato la scorsa settimana dalla Commissione ONU per la Siria sulla situazione dei diritti umani nel Paese negli ultimi sei mesi del 2021.
Avvertendo che “i siriani stanno raggiungendo un nuovo abisso mentre la violenza si intensifica sia in termini di schermaglie militari e bombardamenti sia in termini di rapimenti e uccisioni lontano dalle zone di conflitto”.
Il rapporto ha rilevato gravi violazioni dei diritti umani, tra cui una sposa uccisa al suo matrimonio insieme alle sue quattro sorelle dalle forze filogovernative.
In una conferenza stampa per presentare il rapporto, Paulo Pinheiro, presidente della Commissione, ha evidenziato con forza le dure condizioni di vita del popolo stiano.
“Molti sfollati nel nord-ovest vivono ancora in tende fragili, bloccati nella neve, nella pioggia, nel fango, eppure alcuni “attori” sembrano spendere più energie per impedire che gli aiuti arrivino a loro piuttosto che per facilitarli”, ha affermato.
Pinheiro ha anche tracciato parallelismi con il ruolo della Russia in Ucraina rispetto alla Siria.
La Russia è intervenuta a fianco del governo di Assad nel 2015 e molti siriani hanno perso tutto nelle offensive sostenute dalla Russia.
Il rapporto descrive nel dettaglio quattordici attacchi delle forze siriane e russe nel nord-ovest della Siria negli ultimi mesi in cui decine di bambini sono stati uccisi, anche mentre andavano a scuola.