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Siracusa, dal 2019 nulla è cambiato. Baio: “Mi hanno ammazzato lasciandomi in vita”

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L’ultima volta che avevamo parlato della storia di Jvan Baio, l’operaio della Isab Lukoil licenziato nel 2015 dopo aver denunciato il consumo e lo spaccio di droga in raffineria, era stato nel novembre del 2019 quando la Commissione Parlamentare Antimafia presieduta da Nicola Morra lo aveva chiamato a Roma per un’audizione.

Per un attimo abbiamo pensato che si fosse fatta luce sul ruolo della multinazionale russa del petrolio, egemone nella zona industriale di Siracusa, e che i processi attivi contro il clan Bottaro-Attanasio avessero trovato riscontri in tribunale, invece, da quanto apprendiamo dallo stesso Baio la situazione è peggiorata, devastando se possibile, anche la sua salute.

Da quando sono stato ascoltato in Commissione Nazionale Antimafia non ho avuto più nessuna notizia. Il caso vuole che poi si è venuta a creare anche una discrepanza nei processi della causa del lavoro e, nel perdere l’appello, sono stato condannato a pagare le spese processuali. Le mie condizioni economiche non mi hanno permesso neanche di poter fare ricorso in Cassazione”. Lo avevamo lasciato stanco, lo ritroviamo esasperato. “E poi continua la mia saga contro questa multinazionale del petrolio che è praticamente una diramazione dello stato russo in Italia, perché l’oligarca che è il maggior azionista di Isab Lukoil è stato anche vice ministro della difesa e del commercio in Russia (Vagit Alekperov, ndr.). Il suo braccio destro, Oleg Durov direttore generale della Isab Lukoil, mi ha querelato per diffamazione aggravata visto che ho sempre definito la mentalità di questa azienda una mentalità mafiosa, una mentalità che invece di tutelare chi denuncia per il bene della società e della propria famiglia, tutela chi è imputato per mafia” (qui si riferisce a Luca Vella, il suo aguzzino, il quale verrà condannato in primo e secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa ma poi assolto in Cassazione, ndr.). 

Di Isab Lukoil si parla molto in questi giorni, a causa della guerra Russia-Ucraina e delle ripercussioni che il prezzo del petrolio potrà avere sia sulle forniture italiane sia sui lavoratori dello stabilimento. Jvan però è amareggiato perché le sue battaglie, dopo sette anni dalla prima denuncia, non sono finite, anzi, hanno coinvolto la sua famiglia e le sue figlie che stanno pagando il prezzo più alto.

Dal 2019 quando sono stato ascoltato in Commissione Nazionale Antimafia ho ricevuto minacce di morte mezzo Instagram, inseguimenti… L’ultimo inseguimento che ho subito a luglio del 2021, da parte di un grosso esponente del clan Bottaro Attanasio che è Davide Cassia, quando mi inseguì aveva la pistola sotto la maglietta”. Parliamo al telefono ma dalla voce è come se si guardasse intorno mentre mi descrive i fatti, fatti che erano iniziati per fare la cosa giusta ma che ora fanno rima con la paura e con la rabbia di chi vede disattese le promesse fatte da uno Stato fin troppo assente. “Sono una persona che hanno ammazzato lasciandomi in vita. Io vorrei avere la dignità che avevo prima di denunciare e invece non solo ho perso la dignità, ma continuo a essere minacciato e per avere un arresto sono passati sette anni e ancora sto aspettando i primi gradi di giudizio. Ti sembra uno scambio alla pari?”, lascia cadere la domanda nel vuoto.

A proposito di scambio, rilancio sulle tutele e gli chiedo quali secondo lui non dovrebbero mancare. “Le tutele che chi denuncia deve avere sono che lo Stato ti sia vicino. Che lo Stato faccia sentire la presenza. Io dal 2019 non ho più la scorta neanche quando ci sono i processi. Non è una tutela quella ma già ti faceva sentire che lo Stato era presente nei tuoi confronti”.

E se ci fosse qualcuno pronto a denunciare come hai fatto tu, cosa gli diresti? “Nessuno degli operai e non lo farei neanche io oggi se avessi l’esempio di un’altra famiglia che ha subito quello che ha subito la mia, può mai permettersi il lusso di andare a denunciare. È impossibile, a meno che non sei pazzo” risponde Jvan rassegnato.

Questo è il prezzo dell’attesa, dell’incertezza. La mente spinta al limite e il corpo che accusa il colpo. Gli chiedo se vuole parlare pubblicamente di come si sente e annuisce. “Entrai in Isab Lukoil come categoria protetta perché ho avuto il linfoma di Hodgkin trattato con otto cicli di chemioterapia e radioterapia. A prescindere da questo credo che si evinca normalmente che in una persona che ha avuto un male del genere i livelli di stress e di ansia a cui siamo sottoposti avendo denunciato, non fanno bene alla salute. Negli ultimi tempi, ho avuto problemi di ipertensione e non mi vergogno a dirlo ma anche problemi di depressione”. Non si tira indietro, continua: “Dall’ultimo checkup si evince che sono una persona ampiamente devastata dallo stress e dalla sofferenza che sto patendo in questi anni. Il tutto sempre cercando di far trasparire serenità a tre figlie che iniziano a capire che quello che abbiamo fatto si può ripercuotere anche nei loro confronti. Perché crescendo gli sarà detto e rinfacciato che il padre è un infame e non vale niente e queste sono le cicatrici che con mia moglie ci portiamo dietro per le decisioni che abbiamo preso”.

C’è disperazione nel suo tono di voce, ma anche infinito coraggio. Prosegue: “Sai i termini, soprattutto in Sicilia, si pesano e se tu mi dai dell’infame, dello sbirro, etc., vuol dire che tu stai parlando con dei termini e degli usi non consoni a una lite familiare come quelli che usano mio fratello Dario e mio nipote Andrea che desiderano la mia morte, ma in termini chiaramente di stampo mafioso”.

Infine c’è il silenzio che per le vittime come Jvan rappresenta l’ostacolo maggiore, non solo omertà ma anche la scelta di voltarsi dall’altra parte. Per questo riesce ancora a trovare la motivazione, nonostante la sensazione palpabile di essere stato lasciato solo in balia di sé stesso, senza lavoro, alla Caritas, con il reddito di cittadinanza. Silenziato ma agguerrito, replica stringendo i denti: “Io sto combattendo non contro il clan Bottaro-Attanasio o il clan Borgata di Siracusa, ma contro una multinazionale che ha fatto uso di questi clan contro di me. Nessuno è invincibile e quello che io voglio dimostrare a chi mi denigra, a chi mi insulta su internet, a chi mi minaccia è che comunque sia devono passare sul mio cadavere perché io non faccio un passo indietro”.


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