BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Riflessioni su “m.il figlio del secolo” di scena al Teatro Argentina di Roma

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La democrazia, lo stato sensibile al sociale (ma non alla retorica del medesimo), la razza impura : peccati di trasgressione allo Stato Etico, di hegeliana memoria, e al suo “corpo mistico” –così come teorizzati,dopo Hegel, da Evola e Gentile… (Dizionario di Filosofia Astrolabio)

E’ solo una scheggia, una breve sequenza o cartolina dal passato, fa lo stesso. Eppure, quando Massimo Popolizio, narratore, interprete (con Tommaso Ragno), “imbonitore” delle littorie sventure inizia a dondolare dalla sommità della nuda scena, assiso su una sorta di seggiolino per funivia, impetuoso nell’invettiva e rutilante nel propinare le mille “necessità” della svolta autoritaria…in quel momento, credo, si completa il passaggio di consegne fra il teatro di Luca Ronconi (mastodontico, frastornante, pluricentrico- come ci apparve al tempo de “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Kraus, al Lingotto di Torino) e quello ‘ereditato’, a pieno merito, dal suo esegeta più attento e culturalmente attrezzato.

Così come dimostra di consolidarsi in questo spettacolo di forte e motivata ambizione, tratto dall’omonima biografia\roman-saggistica di Antonio Scurati (poderosa anch’essa, quasi mille pagine). Spettacolo destinato probabilmente – nella stagione che trascorre dalla pandemia alla minaccia nucleare- ad affermarsi quale unico evento corale, non occasionale e di forte impegno produttivo (18 attori più le maestranze). Ed il tutto esaurito a quasi ogni replica.

Enorme” ma espressivamente “fluido”, persino “leggero” e decantato in storytelling maschilista, “M. Il figlio del secolo” è, a suo modo (e inoltre) un esempio di ‘calzante’ attualizzazione della lezione brechtiana, arricchita di contaminazioni neo-pop e sapiente uso dell’inserto cinematografico, della diapositiva eloquente al posto di costose macchinerie di allestimento. Tali da economizzare e rendere più scorrevole lo snodo dei trentuno ‘quadri’ che compongono il mosaico di “un’ascesa al potere attraverso il trasformismo e la brutaalità”, stante la debolezza della indolente istituzione sabauda, lo svilimento del consesso parlamentare e lo strumentale avvistamento del “pericolo rosso” serpeggiante nell’ immaginario prolificarsi di bolscevichi in ogni angolo della nazione. Fu allora, molto prima della Marcia su Roma dell’ottobre 1922, che la logica mussoliniana di investitura al Potere, riuscì ad “innescare reazione e conservazione dello status quo”, in risposta agli stracci e miserie, umane e sociali, che riconsegnavano alla Patria i tremendi ‘relitti’ della Prima Guerra mondiale -così come tramandato da “Torneranno i prati” di Olmi e “La grande guerra” di Monicelli. Film da rivedere per meglio capire.

Considerata “fondamentale” alla decifrazione del fenomeno nazi-fascista, come lo furono gli studi del De Felice, l’opera di Scurati (che ammettiamo di conoscere per capitoli, non per approfondita lettura) è elogiata “per la ricostruzione delle dinamiche” che condussero ad una ‘investitura’ rocambolesca, quindi all’instaurazione della dittatura, in un contesto e “consenso di massa” che andarono a schiantarsi prima nella sciagura coloniale di Etiopia (il presunto, megalomane Impero), dopo nel trascinamento del secondo conflitto, vassalli di Hitler.

Sin qui i suoi indubitabili meriti letterari.

Dai quali distinguere quelli drammaturgici (e di messinscena). Che diramano dal Mussolini “socialista”, demagogo e massimalista (prima direttore di “Avanti! Poi fondatore de “Il Popolo d’Italia”), non interventista e smaccato belligerante secondo calcoli personali avviati al fallimentare. Non meno dello squadrismo in camicia nera, “finanziato anche dai ceti abbienti agrari e dalla nascente industria bellica” per gli incendi delle Case del Popolo e la soppressione fisica degli oppositori – sino ai più luttuosi accadimenti successivi all’omicidio-Matteotti.

Tutti episodi che, nella certosina regia di Popolizio, si dispongono, con logica pittorica, in tableaux vivants, staffette di attivisti e adepti (da Farinacci a Marinetti), brevi citazioni dalle illustrazioni d’epoca . Nella ‘velleitaria’ apoteosi dannunziana dell’avventura di Fiume, “visionaria o allucinata?” – e nei ‘favori’ elargiti al Duce da Margherita Sarfatti, raffinata donna di mondo che si prese vanamente la briga “di educare Mussolini” divenendone una delle bistrattate amanti (repellente il paragone fra “la vagina e l’orinatoio carnale”) dopo le scorrerie che da Angelica Balanoff, LedaRafanelli e Ida Dalser (personaggio-cardine in “Vincere!”di Bellocchio) lo ‘accompagnarono’ sino alla cupa fascinazione di Claretta Petacci.

Nella scelta –condivisibile- di negare al Mussolini-istrione un ruolo distinto dalla massa plaudente (poiché fu la massa stessa a identificarsi nel suo carnefice), Masssimo Popolizio, che ‘era stato’ il redivivo Duce in “Sono tornato” di Luca Maniero, penetra e ‘commenta’ -in terza persona narrante- il suo Benito mitomane e impostore, riservando all’ottimo Tommaso Ragno gli intermezzi del Mussolini pavido e in fuga da se stesso, nella sua esasperazione della disciplina e disciplina dell’esasperazione.

M IL FIGLIO DEL SECOLO
Uno spettacolo di Massimo Popolizio
tratto dal volune di Antonio Scurati
collaborazione alla drammaturgia Lorenzo Pavolini
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
video Riccardo Frati
suono Alessandro Saviozzi
movimenti Antonio Bertusi
con Massimo Popolizio e Tommaso Ragno
e con (in ordine alfabetico) Riccardo Bocci, Gabriele Brunelli, Tommaso Cardarelli, Michele Dell’Utri, Giulia Heatfield Di Renzi, Raffaele Esposito, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Diana Manea, Paolo Musio, Michele Nani, Alberto Onofrietti, Francesca Osso, Antonio Perretta, Sandra Toffolatti, Beatrice Verzotti
produzione Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, Teatro di Roma, Luce Cinecittà
in collaborazione con il Centro Teatrale Santacristina

Roma Teatro Argentina -In ripresa dal prossimo autunno

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Seconda parte

Fantasmi di fanatismo sempre incombenti

Breve intervista con il regista e lo scrittore di “M”

Roma. Teatro Argentina. Interno sera. A fine spettacolo, dopo circa tre ore in platea.

-Pensavo ad una frase di Leonardo Sciascia…sua, se ricordo: quella del nazi-fascismo, unica patologia che ha la presunzione di autoproporsi terapia, anzi panacea. Con tante e tante recidive, distribuite per ogni dove….Per non scadere nell’accademico, quale metodo di lavoro contraddistingue la regia?

Popolizio risponde: “Senza alcuna inclinazione al compendio storico e riepilogativo, il testo dello spettacolo mira a portare in scena una rappresentazione plastica ed espressionista dell’affermarsi del fascismo. Una storia, quella che instrada l’Italia al fascismo, che non si conosce mai abbastanza, in particolare quella dei sei anni che seguono la Grande Guerra, con l’impresa di Fiume, il basculare del paese verso la rivoluzione socialista, la reazione e il dilagare dell’intolleranza. La cupa efficacia di una dottrina politica che si sottrae alle categorie di giudizio con l’azione violenta”

  • Mussolini non è il solo responsabile dello scempio fascista. I suoi n adulatori, ma anche i suoi avversari stanno in scena…

Protagonisti della comune tragedia, che rischia di replicarsi in macabra farsa…attualizzata, senza confini, dalla vicenda ucraina… sono il fondatore del fascismo e i suoi comprimari, che sentiamo esprimersi, anch’essi in terza e prima persona: Marinetti, D’Annunzio, Margherita Sarfatti, gli antagonisti Nicola Bombacci, Pietro Nenni e Giacomo Matteotti (colto anche nella commovente relazione epistolare con la moglie Velia), Italo Balbo, gli smobilitati della Grande Guerra e tutta una nuvola di individui venuti dal basso”

-E quindi?

Protagonista è l’intera comunità nazionale, il paese opaco che che non demorde…che pesca nel torbido della peggiore trasformismo…delle paure indicibili: per il presente, per il futuro, per la salvaguardia di piccolim privilegi fuori tempo e fuori luogo”

Interviene Scurati:

Stiamo vivendo un momento storico in cui è lecito sperare che Musssolini smetta di essere un ectoplasma ‘aleggiante’ e mai veramente debellato. Non solo in Italia, ma ovunque allignino prepotenze e manipolazioni della realtà”

  • Sempre difficile da decifrare… nel rischio manicheo di dirimere il bene e il male una volta per sempre…

Dall’Italia in poi io ho rivisto l’addensarsi dei miasmi populisti, della loro spettrale presenza. E mi sono messo al lavoro”

  • Ciascuno con le proprie competenze….

Il teatro, i romanzi, l’arte in genere sono ‘pericolosi’ ma necessari: destabilizzanti rispetto alle pigre certezze. Lavoriamo per ‘chiudere i conti’, seppellire i morti ed evacuare la casa comune dai fantasmi che tornano ad avere corpo”.

Viceversa, la nascita del Superuomo sarà opera di omuncoli e omicini arresi al peggio.


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