BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Marina, Julian e il senso della democrazia

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A differenza di qualcun altro, non abbiamo scoperto oggi chi sia Putin. Lo sapevamo già quando compiva massacri in Cecenia, lo sapevamo ai tempi del Teatro Dubrovka di Mosca, lo sapevamo nei giorni della scuola di Beslan e quando venivano assassinati Anna Politkovskaja e Alexandr Litvinenko. Sapevamo chi fosse e lo denunciavamo, mentre alcuni acerrimi nemici delle ultime ore se la ridevano al cospetto delle battute e degli elogi di chi lo considerava “un dono di Dio” o giù di lì.

Denunciavamo l’autoritarismo di Putin perché siamo sempre stati schierati dalla parte della democrazia, della dignità umana e dei diritti, fin da quando a Genova, nel 2001, era uno degli otto sedicenti grandi che si stavano accordando per condurre il mondo nel baratro, mentre al di là delle grate che delimitavano la zona rossa i manifestanti venivano massacrati, colpevoli unicamente di non volere un pianeta in cui le risorse venissero accumulate nelle mani dei soliti noti a scapito della collettività.

Putin è sempre stato così, non è cambiato nel tempo. Qualcuno ha avuto persino il coraggio di rivendicarlo come una vittoria dell’Occidente perché, udite, udite!, lo avremmo costretto, quanto meno, a sottoporsi a libere elezioni. Tralasciamo quest’analisi per carità di patria e veniamo al dunque. Qui sono in gioco i sedicenti valori occidentali, rivendicati da Tony Blair in un articolo, apparso su Repubblica, che mi ha destato un sincero terrore. Perché l’impressione che si ha, sempre più spesso, è che questa parte del mondo abbia deciso di far finta di niente, di nascondere i propri errori e di andare avanti come se nulla fosse, armandosi fino ai denti e ignorando l’allarme ambientale che sembrava aver fatto breccia nei cuori di molti prima della pandemia mentre adesso è scomparso dai radar. Sembra, stando a ciò che scrive Blair, e purtroppo non solo lui, che quella bislacca congrega di pacifisti e nostalgici di un pensiero di sinistra sia responsabile di tutti i mali possibili e immaginabili, minando la fiducia della nostra società in se stessa e denunciando alcune scomode verità a danno delle sublimi menzogne che furono, ad esempio, alla base della guerra in Iraq. Ebbene, continueremo a farlo. E continueremo a farlo non perché amici di Putin ma per il motivo opposto. Continueremo a farlo perché siamo coloro che già nel biennio ’99-2001 dicevano con chiarezza che questo modello di sviluppo fosse insostenibile e pericoloso. Continueremo a farlo perché esistono solo guerre schifose, non “missioni di pace”. Continueremo a farlo perché libertà e democrazia, per noi, vanno di pari passo, proprio come la pace e i diritti umani.

Continueremo a farlo perché non ci rassegniamo al declino, al degrado e al pensiero unico che vorrebbero imporci dall’alto. Continueremo a farlo in nome e per conto di Julian Assange perché crediamo fermamente che le sue denunce e le sue rivelazioni siano ciò che distingue la democrazia da ciò che democrazia non è. Una democrazia, infatti, non può avere paura di fare i con se stessa, con i propri sbagli e con le proprie aberrazioni. Una democrazia non può avere paura della libertà d’informazione. Una democrazia non può condannare a oltre cento anni di carcere un uomo solo perché ha detto la verità. Una democrazia ha il dovere di essere diversa da una tirannide in tutto e per tutto. E proprio perché rivendichiamo i valori dell’Occidente non accettiamo che Assange venga messo a tacere o estradato negli Stati Uniti, dove potrebbe subire una condanna assolutamente ingiusta. Noi non siamo la Russia di Putin: abbiamo il dovere di rivendicare la nostra radicale alterità. Noi ci schieriamo dalla parte dei martiri della libertà d’espressione qualunque sia la loro nazionalità: per questo, non abbiamo esitato ad abbracciare idealmente Marina Ovsyannikova, la coraggiosissima collega russa che ha sbugiardato Putin in diretta televisiva, esibendo un cartello contro la guerra che passerà alla storia. Ma stare dalla parte di Marina ci impone di stare anche dalla parte di Julian e nettamente contro i fondamentalisti di un pensiero che non ha nulla a che spartire con la difesa dell’Occidente e molto a che fare, invece, con la difesa acritica dei privilegi di poche categorie e della loro smania di potere.

Per noi l’Occidente si riassume nei principî stabiliti dal Manifesto di Ventotene, dalla nostra Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Chi mette in discussione quegli ideali non sta difendendo né l’asse euro-atlantico né la democrazia liberale ma una deriva che con l’America di Roosevelt, l’Europa di Spinelli e dei padri fondatori, l’Italia dei costituenti e lo spirito resistenziale del dopoguerra non ha nulla a che vedere. Essere contemporaneamente censori, liberisti e guerrafondai significa essere nemici di quella civiltà che, a parole, si dice di voler difendere. E l’arroganza di determinate posizioni ne è la conferma.


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