Quello pronunciato domenica 13 marzo 2022 da papa Francesco dopo la preghiera dell’Angelus è un testo – documento che resterà a lungo e che ha un enorme valore politico. Ha detto Francesco: “Questa settimana la città che porta il nome di Maria, Mariupol, è diventata una città martire della guerra straziante che sta devastando l’Ucraina. Davanti alla barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti e di civili inermi non ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri. Col dolore nel cuore unisco la mia voce a quella della gente comune, che implora la fine della guerra. In nome di Dio, si ascolti il grido di chi soffre e si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi! Si punti veramente e decisamente sul negoziato, e i corridoi umanitari siano effettivi e sicuri. In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!
Vorrei ancora una volta esortare all’accoglienza dei tanti rifugiati, nei quali è presente Cristo, e ringraziare per la grande rete di solidarietà che si è formata. Chiedo a tutte le comunità diocesane e religiose di aumentare i momenti di preghiera per la pace. Dio è solo Dio della pace, non è Dio della guerra, e chi appoggia la violenza ne profana il nome. Ora preghiamo in silenzio per chi soffre e perché Dio converta i cuori a una ferma volontà di pace”.
Sono parole che si commentano da sole, chiarissime. Ma per capirne la portata occorre ripartire dalla guerra fredda. La guerra fredda aveva tentato di imporre di stare con l’uno o con l’altro. Già con Giovanni XXII la Chiesa aveva visto la necessità di uscire da questo schema asfissiante. La guerra del Vietnam è stata un tornante importantissimo. L’Occidente pacifista e nonviolento, in primis statunitense, ha detto di no a un imperialismo statunitense feroce e spietato che si giustificava con la necessità di impedire che alcuni Paesi cadessero nella sfera di influenza sovietica. Poi è arrivato il 1989, la caduta del muro, e le scelte egoiste davanti alle difficoltà di Mosca.
Nel 2003, dopo il terribile attentato terroristico che ha distrutto le Torri Gemelle, è cominciata la guerra al terrorismo ispirata dai neo-con. La Chiesa di Giovanni Paolo II è stata in prima fila nel no a questo conflitto. Vietnam e Iraq, due delle tappe che hanno reso antiamericano il pacifismo, dimenticando il grande contributo proprio degli Stati Uniti a questa mobilitazione mondiale. Molti altri conflitti hanno contribuito. Ma poi Vladimir Putin, nel 2015, con la guerra siriana, si è impossessato, nel silenzio statunitense, della guerra al terrorismo, radendo al suolo la Siria. L’operazione di desertificazione di un Paese di millenaria cultura serviva anche a ridare orgoglio e ruolo globale a un Paese che non accettava la riduzione del suo status di superpotenza. Quella guerra è proceduta di pari passo con la crisi Ucraina, che ha visto errori da entrambi le parti, evidenti. Ma la guerra siriana ha colto il mondo pacifista impreparato, lasciandolo silente, e Francesco è rimasto solo a denunciare la terribile ferita inferta a milioni di inermi civili e le sue conseguenze globali. Ciò nonostante, pur indebolito da un’opinione pubblica assente o consenziente con Mosca, il papa ha tentato di evitare che la coperta si strappasse in Ucraina, comprendendo alcune richieste di Mosca. Fino all’invasione. Quel giorno le cose sono cambiate. Perché per Francesco la realtà viene sempre prima delle idee. L’omelia pronunciata dal patriarca di Mosca, Kirill, domenica scorsa, ha aggravato e molto il quadro. Lì Kirill ha parlato di una guerra tra il Bene e il Male, una guerra metafisica dell’anima russa contro l’Occidente peccaminoso, cioè contro la modernità. Un discorso pericolosissimo, dai chiarissimi toni di nuova crociata. Intanto l’invasione dell’Ucraina ha assunto tratti di barbarie evidenti, è la cronaca di questi giorni, con il rischio di uno scenario siriano, cioè di bombardamenti a tappeto sulle città. Francesco chiede di vedere la carne straziata delle vittime, di uscire dal gioco ideologico del passato. La geopolitica di Francesco ha le mani libere, non si allea con nessuno, non sceglie per partito preso l’Occidente, questo tempo è definitivamente finito: ma rifiuta anche il tempo di chi crede di dover combattere l’Occidente come missione divina. Il suo è il pontificato della fratellanza, dell’incontro con la modernità, non della guerra ad essa. Capire almeno questo oggi è non rifiutare Francesco. Trarne le conseguenze è sceglierlo.
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