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Il sogno di Giraudoux diventa fiaba nera nella regia de ‘La pazza di Chaillot’ di Però

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Pescare nel complesso rapporto tra realtà e sogno è un’esperienza comune a tanta drammaturgia e letteratura, alle arti visive. L’utopia de La pazza di Chaillot, poetica e profetica commedia del raffinato autore francese, entra a pieno titolo in questo genere di rappresentazioni, sospesa come uno scintillante caleidoscopio rutilante nel buio della brutale realtà, infilzata dagli strali del Potere e del Profitto, uniche divinità di una classe dirigente cieca, corrotta e crudele.

Per dirla con Shakespeare solo i folli, gli innamorati e i poeti sono capaci di sognare un mondo diverso, dove il bene trionfa sul male e la vita si illumina di gioia e amore. In questa direzione si muove, assolutamente adeguata alla realtà che stiamo vivendo, quest’opera teatrale a metà tra la satira e la fantapolitica, scritta da Giraudoux nel ‘43 durante la seconda guerra mondiale. L’adattamento di Letizia Russo scompagina però il “lieto fine” della conclusione originale, proponendo un sorprendente rovesciamento suggellato dall’ecatombe dei sognatori. La loro disfatta si impone come scelta di una regia che ha voluto sottolineare l’impossibilità del sogno. I vinti di verghiana memoria però non si addicono al tono lieve e giocoso della pièce originale che affascina proprio per quel delicato risvolto positivo, pur svelando chiaramente le amarezze e le brutture di un sistema corrotto, denunciato sin dalle prime battute.

© Simone Di Luca

Sul piano inclinato di un verde prato artificiale disseminato di tavolini si svolge l’esile trama di una messinscena di deliranti follie, a partire dal colloquio di tre uomini in abito e occhiali scuri, seduti al bar a a snocciolare con nonchalance le loro nefandezze da incubo. Sono loro i veri folli: i detentori del potere e del profitto. Il loro unico scopo è il denaro. Sono arroganti, irridenti, seduti a un tavolino di un bar del quartiere parigino di Chaillot che sarà distrutto, come del resto la città di Parigi, per i loro loschi scopi. Pare che nel sottosuolo vi sia un giacimento petrolifero. Progettano quindi lo sventramento della città per impossessarsi dell’oro nero. A un altro tavolino un altro uomo in abito e occhiali scuri. E’ il Preposto che si unirà al trio per portare avanti il piano strategico degli avidi arraffatori senza scrupoli. A questo pesante grigiore e a questa spocchia fanno da contraltare una serie di strampalati personaggi bizzarramente agghindati, variopinti, garruli, leggeri: sono gli abitanti del quartiere che vivono in un loro mondo parallelo dove tutto è splendente e luminoso, di cui la regina incontrastata è Aurélie, “la pazza”, amata e influente in questa surreale, circense corte dei miracoli. Irma, la cameriera del bar, è l’unica mediatrice dei due mondi, tesa a barcamenarsi tra realtà e sogno. Il piano distruttivo dei “cattivi” verrà incredibilmente sventato dai “buoni”, capitanati da Aurélie, che avendo intuito il nefasto progetto, aiutata dalle sue deliziose amiche, condanna gli affaristi in un tribunale improvvisato del quartiere, riuscendo a farli scendere in un abisso che li inghiottirà, liberando la terra dalla loro nefasta presenza. Dopo un intenso colloquio con il suo antico amore che l’ha abbandonata, cagione della sua pazzia, inaspettatamente Aurélie si ritroverà ancora dinnanzi coloro che pensava di avere annientato, mentre un boato e una scossa distruttiva semineranno i corpi degli abitanti del quartiere sul piano inclinato di quell’ameno prato artificiale dell’incipit.

© Simone Di Luca

Fiaba nera dai contorni incerti, in questa edizione dello Stabile del Friuli Venezia Giulia la pièce, come avevamo sottolineato, si discosta nel finale dal testo originale, dove vincono i buoni, per assurgere a monito e a previsione distopica, suggellando un’amarezza che sicuramente serpeggia nel testo di Giraudoux, ma che qui è senza speranza.

L’ironica commedia vanta le storiche edizioni teatrali di Strehler e Ronconi, interpreti come Annamaria Guarnieri e Piera Degli Esposti, la versione cinematografica con Katharine Hepburn, mitici modelli con cui Manuela Mandracchia si è misurata configurando un personaggio tutt’altro che folle, con un suo garbo e una sua misura che le hanno consentito di attraversare la scena con saggezza, dignità e autorevolezza.

Affiancata da un cast di tutto rispetto, generoso e dotato di notevole intesa, questa “pazza” visionaria e incredibile nel suo opporsi allo sfacelo incombente, pur se falciata dalla inesorabile avanzata del bieco potere del profitto, ci solletica l’anima e ci invita a lottare contro il male e immaginare un mondo migliore. Una Don Chisciotte in vesti muliebri, Aurélie assurge a simbolo della forza del sogno.

LA PAZZA DI CHAILLOT

di Jean Giraudoux
adattamento Letizia Russo
con Manuela Mandracchia, Giovanni Crippa
e con Filippo Borghi, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Andrea Germani, Mauro
Malinverno, Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio, Jacopo Morra, Maria Grazia Plos,
Zoe Pernici, Miriam Podgornik
regia Franco Però
scene Domenico Franchi
costumi Andrea Viotti
musiche Antonio Di Pofi
produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile di Napoli – Teatro
Nazionale

 

Al Teatro Verga di Catania dall’1 al 6 Marzo

Il sogno di Giraudoux diventa fiaba nera nella regia de ‘La pazza di Chaillot’ di Però


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