Per chi non crede nelle coincidenze, questa storia contiene un buon antidoto. “Senza coincidenze non c’è narrazione” afferma un antico proverbio cinese. La nostra vita è solo una catena di coincidenze, come esattamente la letteratura.
Nasce tutto per caso, o per un disegno del destino?
Nicola Longo viene al mondo in un paese povero della Calabria, Taurianova, nella piana sovrastata dall’Aspromonte. I territori della ‘ndrangheta. Suo padre è maresciallo dei Carabinieri e comanda la locale stazione, trasferito successivamente non troppo lontano, a Polistena. Il bambino è ardimentoso per natura, indomabile, inclinato a quelle esibizioni di coraggio che servono per imporsi all’ammirazione e al rispetto dei compagni. Per sfida si distende in mezzo alle rotaie, con gli occhi serrati e le mani premute sulle orecchie, lasciando che il treno gli passi sopra, sferragliando paurosamente. E se qualcuno dei coetanei vuol fare il prepotente, lui risponde a suon di pugni, mostrando un’innata propensione per la nobile arte. Crescendo, il pugilato l’attira come una vocazione, e una mattina di nascosto, parte in bicicletta per Reggio Calabria, si brucia i muscoli su strade contorte e scoscese, per cinquanta chilometri, per presentarsi a una palestra che gli hanno indicato. Il ragazzo è un fascio di muscoli, non conosce alcuna tecnica, ma il talento naturale è indiscutibile. La sua strada inizia da lì.
Quale strada?
Al suo paese vive Don Antonio, un anziano personaggio rispettato da tutti. Sempre solo, impeccabile nel vestire, il bel cappello in testa, non cerca e non ammette compagnia, se non dei bambini ai quali elargisce qualche sorriso e le caramelle che tiene in tasca. Persino a bocce gioca da solo, in silenzio. Ma una mattina quel silenzio viene lacerato da due spari di fucile, pam pam, e il vecchio si accascia sulla terra battuta del campo di gara, in una pozza di sangue. I giorni successivi, per il funerale dell’ucciso, il minuscolo centro calabrese viene invaso da berline nere scintillanti, sontuose limousine targate Roma, Napoli, Palermo. La ‘famiglia’ italoamericana giunge compatta a rendere l’estremo saluto a don Antonio, al secolo Tony Martino uno dei capi leggendari della Mano Nera negli Stati Uniti al tempo del proibizionismo. In una di quelle auto lussuose, dietro i vetri, Nicola scorge una bambina della sua età che lo sta guardando, la macchina si ferma e lei lo invita a salire aprendo lo sportello. Nicola ne rimane ammaliato, l’autista silenzioso riparte senza un commento: è la bambina a comandare, graziosissima, i capelli appena mossi dal vento che entra dal finestrino semiabbassato. I due adolescenti si parlano fin quando il corteo raggiunge il cimitero, e allora Nicola scende, scappa via, si confonde tra la folla. Ma è bastato quell’attimo di distacco già doloroso, perché insorga in Nicola il sogno irrinunciabile di una sposa americana. Rimane marchiato a fuoco da un fenomeno mentale che potrebbe essere vagamente paragonabile alla ‘scena primaria’ di cui teorizza la psicoanalisi, vale a dire il primo turbamento sessuale, originario, che ci accompagna e condiziona tutta la vita.
Pugni e baci
Campioncino di boxe in erba, Nicola viene ingaggiato dalle Fiamme Oro per combattere sul ring nella categoria dilettanti e viene di conseguenza arruolato nel corpo della Polizia di Stato. Il corso all’Accademia di Caserta e quindi il trasferimento a Roma. Presto viene assegnato alla squadra antidroga, sotto copertura per stanare, risalendo dai pusher, i vertici responsabili del traffico degli stupefacenti e scardinarne l’organizzazione. Con una bandana sulla fronte, abbigliato da hippy e alla guida di una potente Kawasaki, Nicola bazzica nel centro pulsante della Capitale, fra Trinità dei Monti e Piazza Navona, e comincia a sferrare colpi durissimi alla malavita romana. Il suo coraggio diventa proverbiale, l’intuizione, il tempismo, lo sprezzo del rischio – e qualche volta anche dei protocolli – lo mettono presto in luce. Il capo della polizia lo prende sotto la sua ala, gli affida compiti sempre più ardui, che il ‘Serpico di Piazza di Spagna,’ come è stato ormai ribattezzato nell’ambente, trasforma in imprese leggendarie. I giornali parlano di lui, l’Interpol gli mette gli occhi addosso; è l’elemento ideale da portare in America alla DEA, la Drug Enforcement Administration, l’Agenzia Federale per la lotta alla droga in forza al Dipartimento di Giustizia. ‘Under cover’ il poliziotto italiano viene così infiltrato nel giro ben più pericoloso del traffico internazionale, con risultati da cardiopalma.
Muscoli d’acciaio e cuore di leone.
Corrono gli anni del Number One, e di quel giro di locali notturni intorno a Via Veneto che sono le basi stabili dello spaccio; un giro di cocaina che si allarga a macchia d’olio dalla gioventù dorata, ai più svariati settori della società civile, di ogni ordine e ceto, con diramazioni sempre più frequenti nella politica e nelle istituzioni. L’adrenalina, è noto, crea stati di alterazione, la fame di vita si tramuta facilmente in fame d’amore, due onde che si fondono, non sempre facili da distinguere. L’esistenza disordinata non consente a chi ogni giorno mette in gioco la propria pelle, di approdare a un porto sicuro, dentro un sentimento protettivo, stabile. Le sue avventure poliziesche si moltiplicano insieme a quelle di cuore. Un cuore di leone, caldo di passione, di fronte agli occhi dolci di una bella ragazza. Nicola, sempre pronto a correre in difesa del più debole, spinto da un innato senso di giustizia e di istintiva compassione per le creature devastate dalla droga, si ritrova coinvolto in situazioni sentimentalmente complicate. Qualcuna gli lascia segni profondi, cicatrici dolorose, come accade nella drmmatica vicenda con l’indimenticabile Maria, la collega poliziotta.
Una vita da narrare
Per Nicola Longo c’era dietro le spalle un’intera vita di poliziotto da ricostruire, coincidenza dopo coincidenza. A percepirlo per primo è Tonino Guerra, lo sceneggiatore di Amarcord, il film quarto Premio Oscar di Federico Fellini. Sarà il poeta di Santarcangelo a scoprire la vena narrativa di Nicola e a spingerlo a non tenersi dentro quel patrimonio di peripezie da far invidia a uno scrittore professionista di polizieschi. Lo esorta a raccogliere le proprie gesta, a percorrere di nuovo il disegno della sua vita così come si è venuto rivelando giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, quasi fosse tutto già stabilito.
Ne nasce un succoso canovaccio che Tonino passa subito da leggere a Federico.
L’Italia non è ancora fuori dagli anni di piombo, troppi misteri, troppi enigmi mai chiariti, troppa ingiustificata violenza assedia Roma in un cappio mortale. Il regista concepisce l’idea di un film sulle gesta di Nicola. Lo frequenta, diventano amici. Al punto che Federico, che non ha mai inforcato un mezzo a due ruote oltre la bicicletta ai tempi di Rimini, sale ora senza paura sulla motociclettona di Nicola. Divertito e intrepido, si affida a quella sorta di Superman che ha una corazza di muscoli sul petto, e si lascia scarrozzare da lui per la Capitale. Partono da Corso d’Italia, dove è l’ufficio del regista, giù per i sottopassaggi in cui l’artista aveva ambientato il folgorante inizio di 8 ½, e poi via a cielo aperto dovunque li spinga la curiosità. Girando sul bolide per la Città Eterna, Fellini assapora a sua volta una sorprendente scarica di adrenalina, perché a ogni accelerata del pilota il motore rombante si impenna simile a un mitologico destriero pronto a spiegare le ali, Pegaso, Ippogrifo.
Federico, novello Ariodante, appende nel suo studio, nella parete a destra della scrivania, una grande tavola che il sommo disegnatore Moebius gli ha regalato, un autentico incantamento in cui è rappresentato il cibernauta in groppa a una gigantesca cavalcatura alata, un uccello preistorico, librato in alto e immerso nel paesaggio aurorale di un mondo ancora da scoprire.
È l’ultima stagione creativa di Fellini, i fatidici anni Ottanta in cui il regista, liberandosi di ogni zavorra, realizza in piena libertà fantasie vitali e straordinarie, con la leggerezza di un airone: La città delle Donne, E la nave va, Ginger e Fred, Intervista, La voce della luna.
Il sogno diventa realtà.
Il film sul poliziotto non si farà, e le ragioni sono molteplici; si scoprono nel corso della narrazione con un brivido lungo la schiena, e oggi ci appaiono davvero inquietanti. Ma intanto Nicola Longo ha continuato a lavorare incessantemente al suo brogliaccio che ha assunto nel tempo la sostanza e le dimensioni di un vero romanzo, con un titolo misterioso; Macaone. È il suo nome di battaglia, sotto copertura, ripescato dal protagonista proprio perché allude a una farfalla bellissima, la più grande e sfarzosa di quello sciame che a primavera, al sorgere del sole, invadeva l’aria palpitando nella valletta segreta in cui lo scrittore, da piccolo, andava a rifugiarsi per vagheggiare la propria futura esistenza. Il presagio della sua metamorfosi.
L’editore Rubbettino ha letto il manoscritto, si è appassionato alla vicenda e ha pubblicato il libro senza una sola esitazione. Così è avvenuto il miracolo: il sogno è diventato realtà, anzi ultra realtà: il romanzo di Nicola Longo, presentato con entusiasmo da Marina Valensise, è stato ammesso tra i partecipanti al Premio Strega. Qualunque sia l’esito, il poliziotto ha già vinto ancora una volta la sua sfida, è diventato uno scrittore. Magia delle coincidenze.