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Il conflitto in Ucraina, i crimini commessi e la corte penale internazionale

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Qualche giorno fa il procuratore capo della Corte Penale Internazionale de L’Aja, Karim Khan, ha pubblicamente comunicato di aver avviato un’indagine su ipotizzabili crimini di guerra e crimini contro l’umanità nel conflitto in Ucraina.

Il 25 febbraio scorso il britannico Kharim Khan ha infatti rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui ha espresso la propria crescente preoccupazione, reclamando la propria competenza riguardo i  reati internazionali di genocidio, di crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità ai sensi degli articoli 6, 7 ed 8 dello Statuto di Roma istitutivo della CPI, ma rilevando l’impossibilità ad oggi di poter procedere per il crimine di aggressione, cui all’art. 8 bis dello Statuto stesso.

Secondo le parole del procuratore, la Corte accerterà eventuali condotte criminose commesse anche prima dell’invasione russa, ma “data l’espansione del conflitto negli ultimi giorni” valuterà altresì “ogni crimine commesso da qualsiasi parte in conflitto, in qualsiasi parte del territorio”.

Sono soddisfatto che ci sia una base ragionevole per ritenere che presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità siano stati commessi in Ucraina dal 2014” ha concluso il procuratore Khan.

Nel contempo, anche dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia, che si occupa invece di litispendenze fra stati, si terranno udienze pubbliche il 7 e 8 marzo su richiesta della stessa Ucraina di voler indicare misure provvisorie in merito al “caso relativo alle accuse di genocidio ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio (procedimento Ucraina contro Federazione russa)”.

Nella sua richiesta di avviare un procedimento dello stato ucraino contro la Russia, il presidente Zelensky ha avuto modo di dichiarare che Putin aveva “falsamente affermato che si sono verificati atti di genocidio” nelle regioni separatiste di Luhansk e Donetsk, aggiungendo che  Mosca ha successivamente ammesso e di seguito attuato una “operazione militare speciale” contro Kiev.

In quest’ultimo caso, si tratta appunto di una controversia tra due Stati suscettibili di essere sanzionati con pronunce vincolanti, mentre la Corte Penale Internazionale si occupa solo di  individui  colpevoli di crimini internazionali, con la necessaria precisazione che la Corte non può giudicare in contumacia e che, di conseguenza, è oltremodo arduo ipotizzare una consegna spontanea russa, ovvero una estradizione nei confronti di Putin e dei suoi vertici di comando militare.

Altresì vero che, secondo il preambolo del menzionato Statuto di Roma del 1998, gli stati aderenti sono “consapevoli che tutti i popoli sono uniti da stretti vincoli e che le loro culture formano un patrimonio da tutti condiviso, un delicato mosaico che rischia in ogni momento di essere distrutto” ed è  innegabile che l’attacco russo abbia integrato la violazione dell’obbligo di soluzione pacifica delle controversie tra Stati ovvero, poichè intrapreso in difetto di una legittima difesa individuale o collettiva richiamata dall’art. 51 come uniche cause di legittimazione all’uso della forza, che sia vietato ai sensi dell’art. 2(4) della Carta ONU.

Si tratterebbe proprio del sopra richiamato crimine di “aggressione” tipizzato dall’art. 8 bis del Trattato CPI, che punisce la progettazione, preparazione, iniziazione o esecuzione, da parte di una persona in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato, di un atto che, per carattere, gravità e portata, costituisce una palese violazione della Carta delle Nazioni Unite, ovvero l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato, anche senza una previa dichiarazione di guerra.

Tuttavia se l’Ucraina nel 2000 ha firmato lo Statuto di Roma, ancorchè non ancora ratificato nel proprio diritto interno, la Russia non è in alcun modo stato – parte della Corte Penale Internazionale e quindi di fatto fuoriesce dalla sua giurisdizione.

Va rilevato che già nel 2014 l’Ucraina avviò presso la CPI la procedura speciale cui all’art. 12(3) dello Statuto e dall’art. 44 delle Rules of Procedure and Evidence, in base alla quale uno Stato non membro può, tramite una formale dichiarazione presentata alla Cancelleria della Corte, accettare la competenza della CPI relativamente ai crimini internazionali e cooperare con essa “senza ritardo e senza eccezioni”.

L’istanza ucraina di perseguire possibili crimini commessi sul suo territorio dal 21 novembre 2013 al 22 febbraio 2014 portava la data del 9 aprile 2014, tanto che l’ex Procuratrice Fatou Bensouda provvedeva immediatamente  ad aprire una “preliminary examination”, ossia una procedura che prelude alla vera e propria “investigation” che rappresenta una formale indagine investigativa.

Questa fase preliminare quindi riguardava ipotizzabili crimini commessi durante le cosiddette proteste di Maidan, in occasione della violenta repressione delle manifestazioni pro Europa del 2013/2014  a Kiev,  in Crimea durante l’annessione russa del 2014,  e nel Donbass, mentre l’8 settembre 2015 la CPI veniva raggiunta anche dal consenso ucraino alla sua giurisdizione a partire dal 20 febbraio 2014 in poi, senza una data finale, e pertanto valida di conseguenza anche oggi.

L’11 dicembre 2020 l’allora procuratrice della CPI chiudeva la fase preliminare sopra citata, evidenziando svariati “ragionevoli motivi di ritenere che fossero stati commessi crimini di guerra, quali la tortura ed attacchi contro la popolazione civile, nonchè il privare volontariamente un prigioniero di guerra o altra persona protetta del diritto a un equo e regolare processo o il costringerlo a prestare servizio nelle forze del nemico, oltre a stupri e altre forme di violenza sessuale,  e crimini contro l’umanità, come il trasferimento forzato di popolazione in relazione al trasferimento di detenuti in attesa di giudizio o la sparizione forzata di persone, ed altri.”

L’attuale procuratore CPI, alla luce del suo statement, intende pertanto proseguire la “preliminary examination” con riferimento all’attacco russo del 24 febbraio e la warfare in atto.

La vera criticità giuridica però si radica nel difetto di giurisdizione proprio con riferimento al crimine di aggressione perché, come sopra anticipato, si differenza dagli altri tre delitti internazionali la cui giurisdizione della Corte può fondarsi sulla dichiarazione di accettazione del governo ucraino ex art. 12,  ossia per quanto concerne i crimini commessi da cittadini di tale Stato o sul territorio dello stesso.

Per l’aggressione invece, crimine cd. contro la pace, tipizzato dal’uso ingiustificato di forza bellica di uno stato contro un altro ed inserito nello Statuto solo a seguito degli emendamenti di Kampala del 2010 ovvero  in vigore solo dal 2018, vale l’art. 15 bis ed il benestare dello stato che non ha aderito allo Statuto di Roma non autorizza la Corte ad intervenire.


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