Illusionista, chiaroveggente, prestigiatore, medium, sensitivo, paragnosta, taumaturgo, ipnotista. Nulla di tutto ciò: Gustavo Adolfo Rol era un individuo dotato di eccezionali facoltà paranormali concesse ai rarissimi prescelti dal Signore, ai mistici, ai ‘grandi illuminati’.
Una condizione difficile da spiegare, molto più semplice da scoprire nel fluviale racconto di Franco Rol, autore di oltre quattrocento pagine pubblicate dall’editore Riverdito con il titolo FELLINI & ROL, UNA REALTÀ MAGICA.
Lo scrittore, indiscutibile maestro in materia, discendente e biografo del portentoso personaggio torinese, illustra un enigma ancora da sciogliere, in cui veniamo travolti con impetuosa vena narrativa e irriducibile acribia filologica. Una narrazione basata sul metodo di ricerca fattuale affidata alle prove incrociate, il fact chacking, che ci pone di fronte a vicende così incredibili da lasciare interdetti e frastornati.
L’amicizia tra Fellini e Rol si stringe attorno a metà degli anni Sessanta, dopo 8 ½. Ma un primo contatto, propiziato dall’attrice Valentina Cortese, avviene nel ’53 a Parigi, al tempo del film La strada. È ben nota la curiosità di Fellini verso tutti i fenomeni inspiegabili della vita, quella regione ultrafanica che facilmente sconfina nell’esercizio dell’arte, crogiolo creativo in cui l’umano si accosta vertiginosamente al divino.
Ho ascoltato da Fellini racconti scioccanti su Rol già dalle primissime frequentazioni alla fine degli anni Sessanta; il regista conservava nell’appartamento di via Margutta un paio di scarpe in cui la sinistra aveva due tacchi sovrapposti e la destra nessuno. Risalivano ai primi ‘esperimenti’, di trasferimento di materia, dei quali Federico era stato testimone nel 1963 all’Hotel Principi di Piemonte di Torino. Fellini li chiamava ‘giochi’, o ‘giochini’, non certo per minimizzarli, quanto piuttosto per evocare la condizione ludica, gioiosa, in cui i partecipanti erano immersi; fenomeni talmente straordinari che, ripetuti, apparivano alle fine accettabili come i prodigi delle favole.
Le sedute prendevano generalmente avvio dalla manipolazione delle carte da gioco, come usano fare i prestigiatori; ma quel che accadeva con Rol ricalcava soltanto esteriormente la forma della prestidigitazione: sotto la superficie il regista aveva scorto all’improvviso un magma nauseante, intraducibile in parole, che gli aveva causato violenti conati di vomito.
Gustavo Rol comandava a suo genio gli elementi, con la maestria di un illusionista e il potere occulto degli ‘iniziati’: fachiri, santi, sciamani, marabutti. Dino Buzzati, che gli era diventato amico al pari di Federico, scriveva di lui con toni allarmati di assoluta stupefazione.
Rol senza ricorrere mai a risibili riti stregoneschi o a liturgie da palcoscenico, suscitava con disarmante semplicità prodigi inspiegabili; possedeva il dono della bilocazione, poteva cioè apparire simultaneamente in due luoghi diversi, e persino in due città diverse. Una volta che dovendosi incontrare con lui a Torino, Fellini stava uscendo di casa per recarsi all’aeroporto, aprendo la porta se l’era trovato davanti. “Ti ho precorso”, gli disse allegramente Rol; lo accompagnò al taxi e quindi scomparve.
Rol attraversava fisicamente i muri o qualsiasi altra superficie compatta, oppure li faceva attraversare dagli oggetti (tunnelling); spostava con la sola forza delle mente pesanti busti di marmo all’interno di una stanza, ma anche al di là delle pareti, all’aperto, nella strada sottocasa (teletrasporto); induceva le suppellettili a danzare sui mobili, o le dislocava a chilometri di distanza (telecinesi); appariva e scompariva a piacimento, cambiava dimensione a vista assumendo le proporzioni di un gigante o di un nano (trasfigurazioni). Assomigliava al Genio evocato dalla Lampada di Aladino, o dall’anello magico di Re Salomone. Ordinava a comuni utensili di cucina di trasformarsi in ‘servi operosi’, come avviene nel film FANTASIA di Walt Disney, il capolavoro tanto amato da Fellini, con Topolino apprendista stregone del Mago Merlino.
Tutti fenomeni già presenti in testi antichissimi: La vera storia di Luciano di Samosata, oppure il Vecchio Testamento, con i portenti di Mosè e di Aronne.
L’ammirazione che Fellini nutriva per Gustavo Rol era senza limiti. Aveva scritto nel 1965:
“Dispone di tali poteri che non si capisce come non sia famoso in tutto il mondo. Chissà, forse non è ancora venuto il suo momento”.
La frase già intendeva collocare il personaggio nella schiera degli eletti, degli illuminati, o dei Re Maghi, come preferiva appellarli, i sommi depositari di sapienza che viaggiarono dai tre angoli della Terra per recare doni e rendere omaggio al più grande di tutti loro, Gesù, il Nazareno, il Dio incarnato capace di compiere miracoli da sbalordire l’umanità intera. Il Cristo che aveva resuscitato Lazzaro dal sepolcro.
Anche Gustavo Rol era riuscito a richiamare in vita il nonno dello scrittore e suo omonimo, Franco Rol, già disteso nel catafalco in seguito a un incidente mortale sul circuito palermitano della Targa Florio. Un fenomeno di suggestione collettiva, di ipnotismo, di semplice catalessi o morte apparente?
Ma non basta; Rol aveva la facoltà di prevedere il destino di chi gli si affidava, di leggere nel futuro. Nel 1949 a Nizza aveva sconsigliato ripetutamente il conte Cini a mettersi in volo per l’Italia; poco dopo il decollo, a causa dell’improvviso distacco di un’ala, l’aereo era precipitato andando in fiamme. Giorgio Cini era morto carbonizzato. Merle Oberon, l’innamoratissima fidanzata del nobile veneziano, non riuscì mai più a darsene pace.
Capite che ci troviamo in equilibrio sul crinale che separa la vita dalla morte; un confine che Fellini cercò ostinatamente di violare in un film ‘maledetto’, a causa del quale egli stesso stava per soccombere: Il Viaggio di G. Mastorna. Nel soggetto veniva raccontato un disastro aereo in cui perdeva la vita il protagonista, venendosi a trovare senza coscienza in un altrove sconosciuto.
Al progetto è dedicato un intero impressionante capitolo: per strade oscure l’infausto presagio ebbe alla fine compimento.
Fellini disponeva a sua volta di facoltà extrasensoriali? È ciò che ipotizza l’autore del libro in questa narrazione che raccoglie le vicende parallele, e quasi sovrapponibili, dei due personaggi legati da profondissima amicizia.
La chiave ermetica di entrata in dimensioni diverse, era per Rol il colore verde: “Tutto il segreto è nel verde”, asseriva; vale a dire in quella frequenza cromatica ottenuta dalla fusione del blu e del giallo; insieme al numero 5, il pentacolo, era il chiavistello di poteri occulti.
Fellini aveva appreso molti di questi arcani dalla vorace lettura di Elias Levi, ma la sua chiave di volta, irrinunciabile, risiedeva nella vocazione artistica. I film e la pittura erano alla base della manipolazione delle immagini e dunque della realtà visibile, percettiva, origine di una espressività e di uno stile inimitabili. Parlava apertamente del cinema come di un mezzo sinestetico, un’arte affidata ai cinque sensi.
Nel film E la nave va la principessa Lerinia, sorella cieca del Granduca, associa un colore a ogni nota del pentagramma. Ancora bambino il regista aveva sperimentato nella propria mente la sovrapposizione tra suoni e colori.
I suoi viaggi immaginifici, tra sogno e realtà, costituiscono il tessuto narrativo dei suoi film. Fin dal 1960 Fellini racconta alla rivista Plànete una sua esperienza di levitazione, del tutto simile, peraltro, a quanto Rol riferisce di sé stesso. Federico apre 8 ½ con una ascensione trasfigurata del protagonista Guido, che sfugge dall’ingorgo di automobili innalzandosi in cielo come un aquilone. Trattenuto tuttavia alla caviglia da un corda, simbolo esplicito del ‘filo argenteo’ che ci unisce indissolubilmente al corpo etereo o astrale.
La pittrice Anna Salvatore nel suo romanzo autobiografico Subliminal tu, riferisce di una seduta spiritica in cui Federico aveva ricacciato nelle tenebre una presenza invasiva; impartiva ordini nominandola Amun, e impegnando un corpo a corpo da cui era uscito fisicamente stremato.
Numerosi sono i nodi che accomunano Fellini e Rol: ‘percorsi speculari’, li chiama lo scrittore. Entrambi hanno avuto matrimoni tanto infrangibili quanto sterili; entrambi avevano studiato svogliatamente al liceo classico e si erano poi iscritti senza convinzione a giurisprudenza; entrambi erano ‘creativi ribelli’, e avevano attraversato all’inizio della loro carriera periodi di severa povertà. Entrambi amavano il violino, Rol lo suonava, Fellini lo utilizzava nei suoi film: il Matto del film La Strada suona il violino; Henriette in Casanova, il violoncello; Mastorna è un violoncellista, il prefetto Gonnella ne La Voce della luna recita un’appassionata apologia dell’insostituibile strumento.
Entrambi sono pittori, Rol si guadagna la vita vendendo i quadri che dipinge incarnandosi in François-August Ravier; Fellini non smetterà mai di disegnare e dipingere, attingendo, anche nei sogni, alla fonte energetica di Picasso; entrambi sono attratti dall’Oriente, da un altrove di felicità e vagheggiata armonia, lo Shangri-la, l’eden, il nirvana, affascinati dai sapienti delle antiche religioni, dagli asceti in relazione diretta con le leggi dell’universo. Entrambi sono amanti dei fumetti e in particolare di Mandrake, il principe dei maghi, il cui nome suona come l’uomo Drago: man-drake. Fellini scrive sul personaggio di Lee Falk un soggetto meraviglioso che almanacca a lungo di dirigere.
Entrambi hanno in comune ciò che l’autore definisce ‘l’erotismo divinizzato’. E siamo al capitolo conclusivo, una selva inestricabile di coincidenze che prendono avvio dalle prime iniziazioni sessuali, per espandersi a una ricerca visionaria sempre sospesa tra vita e arte.
Rol, entra in contatto mentale con lo ‘spirito intelligente’, cioè la nostra orma incorporea generalmente invisibile. Il nostro doppio, l’archivio mnemonico olografico che appartiene a ogni essere vivente nel passaggio su questa terra. La sua pretesa ‘magia’, afferma instancabile, non è altro che volontà di Dio.
Fellini a sua volta dichiara senza mezzi termini:
“Faccio un mestiere che mi dà continuamente la prova che sono un mago”.
Alla radice di questi due geni – genius, jinn nella tradizione preislamica, un’entità soprannaturale intermedia fra il mondo angelico e l’umanità – c’è una visione comune che li sostiene, li ispira, li illumina: il loro lavoro creativo è il “laboratorio speculare della trascendenza”, entrambi fermamente persuasi che “l’analogia universale è la grande legge della creazione”.
Franco Rol, maestro di dottrine esoteriche, compone un libro abbagliante, da cui è difficile staccarsi una volta iniziato. E ci racconta un sottofondo di verità poco note, impossibili da ignorare per chi desidera seriamente conoscere Fellini al di là dell’apparenza e dei fantasmi dello schermo. Nel testo viene riportato un passaggio in cui l’artista riminese afferma a chiare lettere:
«Io penso che l’uomo sia una creatura dalle cime e dagli abissi inesplorati. Io credo all’esistenza di una realtà che solo chi non ha occhi per vederla può definire “invisibile”.»