Un esodo di milioni e milioni di donne, vecchi, bambini, come nella narrazione biblica; un territorio raso al suolo, dove ‘non crescerà più neppure un filo d’erba’, come nelle scorribande dei tempi di Attila; città saccheggiate, ospedali bombardati, civili bersaglio dei cecchini come nella seconda guerra mondiale. Tutto questo è nella narrazione quotidiana di oggi, ventunesimo secolo, fatta da inviati con l’elmetto e i giubbotti antiproiettile nel cuore della ‘civilissima’ Europa, già devastata quasi 80 anni fa da un altro folle progetto di dominio.
Come si è arrivati a questo obbrobrio? Perché lo stiamo vivendo increduli e quasi impotenti? Perché non cominciamo a ragionare sul fatto che non una pace abbiamo costruito in questi decenni ma solo tregue temporanee tra una guerra e l’altra? La Corea, il Vietnam, l’Iraq, il Medioriente, i Balcani, la Siria, la Libia, i tanti conflitti in Africa. Tutti frutto di una teorizzazione elaborata nel lontano quarto secolo da un funzionario, aristocratico e ricco possidente del tardo impero romano: Publio Flavio Vegezio Renato. Cosa pensò quella bella mente che non era neppure militare ma che evidentemente ragionava solo in termini di conservazione del potere da parte dei dominatori: “Si vis pacem, para bellum”. A lui poi si accodarono anche Cornelio Nepote e poi Cicerone.
Finita lì? No, per niente. Qual è la logica che ha guidato la costante crescita della produzione di armi sempre più sofisticate, fino agli arsenali delle grandi potenze nei quali pare si contino quindicimila testate nucleari? La stessa di Vegezio: custodisci la pace solo se continui ad armarti. Così neppure le terribili lezioni nate dalla ‘inutile strage’ del 15-18, dai 60 milioni di morti prodotti dal secondo conflitto mondiale, dalle bombe che devastarono le inermi popolazioni di Hiroshima e Nagasaki, hanno prodotto un’inversione di tendenza. Oggi i tanti fautori degli armamenti stanno lì a stracciarsi le vesti per questa nuova tragedia che è tanto più sconvolgente perché documentata quotidianamente da un lato e tenuta rigidamente nascosta dall’altro (per vergogna o paura della verità?) ai 140 milioni di persone che vivono in Russia.
Se solo riusciremo ad uscirne una volta che in qualche modo questo scempio si interromperà, come riprenderemo a ragionare, ad incontrarci a favorire il reingresso di un civilissimo popolo ricco di arte, letteratura, storia come quello russo nel consesso internazionale? Cominceremo finalmente a mettere in campo l’essere prima dell’avere, la bellezza contro la morte, l’incontro invece dello scontro? In queste terribili tre settimane immagini simboliche si sono contrapposte in modo significativo. Io sono rimasto colpito da quelle che qui propongo. Da un lato la desolazione delle città abbandonate, dei palazzi colpiti, dei carri armati, dei missili portatori solo di lutti. Dall’altra la prima resistenza di comuni cittadini ucraini sulle note di ‘Bella Ciao’ cantata in italiano, la violinista Viola che ostinatamente ha continuato a suonare il suo strumento nel bunker nel quale si era rifugiata, il ‘Va pensiero’ cantato dalla folla davanti al Teatro dell’Opera di Odessa, la pianista Irina che dopo aver liberato il suo piano dai calcinacci caduti nella sua casa colpita da un proiettile, prima di abbandonare tutto si è messa alla tastiera ed ha suonato Chopin. La cultura della vita contro l’odio, la violenza, la morte.
Quando sapranno finalmente la verità, cosa diranno i russi di tutto questo? In questi giorni ho riflettuto su come i tedeschi hanno saputo ricostruire immagine e ruolo internazionale in pochi decenni dopo la fine della follia nazista. Oggi sono in prima linea nelle rivendicazioni per la costruzione di un mondo di pace. In centinaia di migliaia sono scesi in piazza a Berlino e in tante altre città. E oltre alle loro si sono tenute manifestazioni in tante parti d’Europa, compresa la Russia dove i partecipanti hanno sfidato la polizia e sono finiti in carcere. Perché definire quelle manifestazioni solo di ‘protesta’? Perché non cominciare a dare ascolto a chi immagina, spera, progetta un altro mondo, diverso da quello delle bombe che molto probabilmente ci porterà tutti all’altro mondo?
C’è una realtà italiana che è l’emblema di questo modo diverso di intendere la battaglia per la pace. E’ la Marcia Perugia-Assisi, che ogni anno elabora, propone, suggerisce modi pratici per uscire dalla logica dei conflitti e favorire collaborazione, comprensione, scambio tra i popoli. Ma quale leader politico traduce quelle proposte in atti parlamentari o addirittura in atti di governo? Ma c’è di più e ancor più grave. Penso alle associazioni umanitarie e a un vero eroe dell’umanità: Gino Strada. Per tutta la vita ha svolto la sua missione come scelta di campo a favore delle popolazioni più dimenticate ed ora un suo libro ci dice in modo chiaro come poter operare. Oltre alla sua opera ci sono le splendide pagine di Papa Francesco, quelle di Laudato Sì e Fratelli Tutti che non sono solo un’invocazione a Dio perché ci salvi. Al contrario, è molto più impegnato ad ammonirci, a guidarci a consigliarci come salvare noi e il pianeta. Encicliche scritte ben prima della terribile situazione d’oggi. Esistono già gli strumenti per progettare, programmare, costruire la pace, inutile far finta del contrario. Così vale la pena di sognare che la teoria di Vegezio venga trasformata e diventi ‘Si vis pacem, para pacem’.
Quale soggetto politico avrà la competenza e il coraggio per farlo? L’invasione dell’Ucraina, la cosiddetta ‘Operazione Militare Speciale’ di Putin e Lavrov, ha prodotto almeno una grande compattezza dell’Europa. Perché questa grande unità non si impegna più su un piano di discussione e confronto, piuttosto che incaponirsi sulla Nato? Non sarebbe questo un modo per togliere qualunque ulteriore alibi a Putin e al suo ‘Cerchio Magico’? Invece di limitarsi ad esprimere condivisione verso gli appelli di Francesco, perché non si comincia ad operare per rendere possibili le soluzioni che quotidianamente invoca? Una cosa è certa. Se neppure questa crisi servirà ad insegnare qualcosa a chi ragiona solo con l’elmetto in testa, la prossima potrà essere quella definitivamente letale. Forse con un protagonista diverso, ma con la stessa mentalità, confermata ogni giorno, dell’autarca, dittatore, tiranno russo.