Buzzati, Levi, Lodi, Fenoglio e il deserto contemporaneo

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Ci manca Dino Buzzati, con la sua prosa limpida, la sua gentilezza d’animo e la sua scrittura visionaria che spesso anticipava il futuro e ci indicava la rotta. Ci manca il suo giornalismo d’altri tempi, la sua inventiva folgorante, la sua capacità di denuncia e il suo saper utilizzare tutti i registri con la medesima maestria. Cinquant’anni senza di lui e ci rendiamo conto di essere rimasti soli, in un deserto di idee, di sguardi, di analisi e di prospettive senza precedenti, nel vuoto di un giornalismo senza identità e di una letteratura che difficilmente riesce a tirar fuori l’anima dalle parole.
Cento anni, invece, sono trascorsi dalla nascita di Carlo Levi, Mario Lodi e Beppe Fenoglio. Carlo Levi, antifascista, è l’autore di capolavori come “Cristo si è fermato a Eboli” e “Le parole sono pietre”, la coscienza civile di un’Italia che oggi sembra aver completamente smarrito ogni forma di etica e il simbolo di una battaglia resistenziale ormai considerata anacronistica dai più. Mario Lodi, maestro elementare, autore di un gioiello come “Cipì”, contrario all’aberrazione dei voti, alla tendenza a incasellare i ragazzi, alla pretesa di escludere e abbandonare a se stessi i più deboli e convinto sostenitore del bisogno di liberare e far volare la fantasia delle giovani menti, può essere considerato, insieme a Rodari, uno dei più grandi pedagogisti del Novecento.
Alla sua letteratura, alla sua arte semplice e ricca di fascino, alle sue parole sempre scelte con cura e alla sua gentilezza d’animo dovremmo ispirarci ogni giorno. Anche lui, all’opposto, è considerato alla stregua di un povero illuso. Beppe Fenoglio, infine, è una delle icone della Resistenza, uno di quegli autori che non possono mancare nella libreria di nessuno, protagonista di una delle stagioni letterarie più significative e di una battaglia culturale, civile e politica di cui oggi si è smarrito il seme.

Tutte queste figure, attualmente, non potrebbero esistere. Non avrebbero voce, sarebbero isolate, contrastate, considerate dei poveri ingenui ed emarginate il più possibile. Tutte queste persone hanno contribuito attivamente a far sì che il nostro Paese crescesse e avesse un domani, e forse anche per questo nulla è stato perdonato loro. Una simile grandezza non può essere, infatti, accettata in un contesto di servilismo diffuso, di vassallaggio indotto e, talvolta, scelto in prima persona, di compiacimento per la violenza e la barbarie e di crudeltà indicata come unica via da seguire. Oggi sarebbero considerati degli sconfitti, ossia dei fessi, e difatti sono stati relegati praticamente nell’oblio. Li ricordano solo quei pochi sognatori che non hanno ancora deciso di accantonare l’utopia, ma sono voci sempre più flebili, sempre più isolate, sempre più facili da relegare in un angolo.
Forse, pensando a queste quattro storie straordinarie, possiamo trovare il senso delle parole di un altro gigante di cui ricorre il centenario della nascita, quel Pier Paolo Pasolini che si domandava chi avrebbe mai fatto il conto di tutto ciò che abbiamo perso a causa di questo presunto progresso. La risposta è quasi tutto ma non siamo in grado di accorgercene, neanche adesso che siamo sull’orlo di una guerra mondiale e tutte le nostre certezze di cartapesta son venute meno. La ferocia dilaga e non c’è spazio per i buoni. Addio Buzzati, Levi, Lodi e Fenoglio: scusate, ma non c’è posto per voi in questa società infestata dall’odio.

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