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Tre domande al nostro governo dopo l’inchiesta di Spotlight sulla morte di Andy Rocchelli e Andreji Mironov

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Sono trascorsi otto anni dalla morte di Andy Rocchelli e Andrej Mironov, uccisi a colpi di mortaio nel Donbass mentre stavano facendo il loro lavoro di giornalisti.

Dopo anni di indagini e processi, la giustizia italiana ha assolto l’unico imputato per vizi di forma, ma ha stabilito una verità importante: che ad aprire il fuoco con i mortai fu un reparto dell’esercito ucraino, la 95a Brigata Aviotrasportata. Oggi alcuni ex soldati di quella unità hanno accettato di parlare e confermano la ricostruzione della magistratura. Il comandante della 95a Brigata era Mykhailo Zabrodskyi, secondo uno dei testimoni avrebbe dato personalmente l’ordine di sparare contro i reporter.  Le rivelazioni emerse nelle due puntate di Spotlight, il programma di inchiesta di Rainews, dedicate all’inchiesta offrono un nuovo spiraglio di verità che deve essere approfondito. Il nome di Zabrodskyi era già emerso nel processo ma mai prima d’ora era stato indicato da un testimone oculare come colui che ha dato l’ordine di sparare “per uccidere, come si fa in guerra”. Fino ad oggi Zabrodskyi non è mai comparso in un’aula di tribunale, siede invece nel parlamento ucraino e oggi è membro del Gruppo per le relazioni interparlamentari con la Repubblica italiana.

E’ normale che il responsabile dell’unità che otto anni fa massacrò un giornalista italiano sia considerato un amico dal nostro parlamento?

Possono i rapporti tra Italia e Ucraina, basati sui valori condivisi di democrazia e libertà, prescindere da questo lampante cortocircuito logico?

Si lascerà intendere, ancora una volta, che la morte di un giornalista sul campo è qualcosa di tutto sommato marginale e irrilevante? 

Qualcuno ha scritto che Andy e Andrej “se la sono andata a cercare”, che erano “nel posto sbagliato”. Noi diciamo che l’unico “posto sbagliato”, in tutta questa storia, è quello dove siede oggi Mykhailo Zabrodskyi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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